Qual è il trattamento fiscale dei test Covid-19 eseguiti in farmacia?
UNA DOMANDA A...
Qual è il trattamento fiscale dei test Covid-19 eseguiti in farmacia?
Prestazioni di diagnosi rese dal farmacista oppure fornitura di dispositivi medico-diagnostici? Meglio gestire la vendita quale fornitura di un "dispositivo medico-diagnostico in vitro" e servizi strettamente connessi, nell’interesse della categoria
11 febbraio 2021
Ci sono pareri discordi e in sintesi due orientamenti: chi sostiene che si tratti di una prestazione di servizio tout court e chi sostiene invece trattarsi di fornitura di dispositivi Ivd e servizi strettamente connessi.
La prima tesi si fonda sul principio che la prestazione del farmacista, che predispone locali idonei, cura la sicurezza e provvede al tracciamento, sarebbe prevalente rispetto alla fornitura del test, che sarebbe un accessorio. Sarebbe quindi un servizio esente Iva ai sensi dell’art. 10 c. 1 n. 18 Dpr 633/1972 che riguarda le «prestazioni sanitarie di diagnosi […] nell’esercizio delle professioni ed arti sanitarie». In sintesi: una prestazione di diagnosi resa dal farmacista nell’esercizio della professione.
Siamo dell’opinione opposta, fondata su solide ragioni normative, ma prima ancora sul semplice buonsenso. Se il test fosse una “prestazione professionale” del farmacista:
- qualunque farmacista dovrebbe poterlo eseguire, anche al di fuori delle farmacie e anche a domicilio del paziente;
- si rivelerebbero fondate le contestazioni sollevate da alcuni Ordini (per esempio i biologi) che ne rivendicano l’esclusiva;
- l’Iva assolta su kit e materiali di consumo è indetraibile e si applica anche il pro-rata Iva sul monte acquisti;
- la responsabilità professionale del risultato del test e della sua correttezza diagnostica ricadrebbe sul farmacista;
- la documentazione fiscale originerebbe sicuramente dubbi e contestazioni dei Caaf;
- il pagamento non può avvenire in contanti.
Riteniamo invece si tratti di «fornitura di dispositivi medico-diagnostici in vitro della Covid-19 e servizi strettamente connessi a tali dispositivi» (così la direttiva Ue n. 2020/2020). Il cliente non va in farmacia per vedere come sono stati bene igienizzati i locali, o per essere censito, ma per fare il test. Il “cuore” del servizio è la diagnosi e questa non è e non potrebbe essere resa dal farmacista, ma solo eseguita – come espressamente prevedono molte delibere regionali – con un kit di autodiagnosi.
A nostro parere pertanto è preferibile gestire la vendita quale fornitura di un “dispositivo medico-diagnostico in vitro” e servizi strettamente connessi, esente Iva (con detrazione a monte) ex art. 1 c. 452 Legge 178/2020. Con molte ricadute positive:
- esonero da responsabilità derivanti da errori sugli esiti dei test, che competono al produttore del kit;
- se l’analisi è fatta mediante un Ivd marcato Ce e non dal farmacista si azzera qualunque censura di altri Ordini professionali;
- nessun pagamento tracciato;
- per la detrazione basta la codifica AD (dispositivo medico) sullo scontrino, che assorbe la dichiarazione di conformità alle norme Ue e l’indicazione della natura;
- nessun rischio di future contestazioni da parte dei Caaf, visto che la codifica AD è prevista da varie circolari dell’Agenzia;
- Iva a monte interamente detraibile e nessun pro-rata.
Il servizio collegato di censimento e tracciatura è un servizio “strettamente connesso” esente anch’esso a norma del comma 452 della legge 178/2020 e pertanto può essere inglobato nel prezzo unitario di cessione del bene. In tal modo si avrà anche la corretta uscita della merce dal magazzino.
Nulla vieta che ai fini della disciplina della “farmacia dei servizi” (Dlgs 153/2009) la prestazione sia ricondotta nell’ambito dei servizi di secondo livello tramite “prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell’ambito dell’autocontrollo” (così dispone l’art. 1, lettera e, del Dlgs 153/09), ma il corretto trattamento fiscale rimane quello del comma 452 della legge 178/2020 (fornitura diagnostico in vitro e servizi accessori).
In sintesi
Risulta opportuno battere la cessione di dispositivo dal registratore con descrizione “test diagnostico Covid-19” con codifica “AD”. Se non è possibile indicare “AD” va comunque indicata, in aggiunta alla descrizione:
– la natura “dispositivo medico” o “diagnostico in vitro” (anche abbreviata);
– la conformità alla direttiva 98/79/Ce.
Come tutte le questioni interpretative, ovviamente, non vi sono soluzioni certe. Solo argomentazioni più o meno convincenti. E noi riteniamo che la nostra soluzione sia quella che risponde meglio all’interesse economico, fiscale e professionale della singola farmacia e della categoria nel suo complesso. Quindi – a prescindere dalle discussioni in punta di fioretto – qualunque professionista che abbia a cuore l’interesse dei suoi clienti dovrebbe sostenerla.
Fortunatamente questa volta – a quanto ne sappiamo – nessuno ha avuto la dabbenaggine di proporre interpelli, che potrebbero avere gli esiti disastrosi che altre iniziative scomposte hanno causato in passato.