La prossimità non è una questione di costi
LA VOCE DELLA BASE
La prossimità non è una questione di costi
Le preoccupazioni di Maurizio Guerra, titolare rurale: investire in case di comunità e non risolvere la carenza di medici nei piccoli centri mette a rischio la sostenibilità delle farmacie più fragili
22 luglio 2021
di Maddalena Guiotto
La farmacia sta evolvendo e la gestione del farmaco e del paziente, purtroppo, stanno perdendo d’importanza. Così ritiene Maurizio Guerra, titolare della Farmacia alla Salute a Corbanese San Tarzo (TV), un’esperienza ultradecennale come responsabile provinciale e regionale di Sunifar e in Consiglio nazionale di Federfarma. Le 450-500 farmacie rurali venete, un terzo del totale, sono in parte sussidiate (una su tre) ma «con cifre ridicole», osserva Guerra, che ricorda come «il “vantaggio” nel Veneto è che, al minimo nazionale previsto (circa 400 euro l’anno), da almeno 6-7 anni la Regione ha aggiunto un sussidio che è intorno ai 1.000-2.000 euro, che aiutano a pagare le bollette».
Come sta cambiando la realtà delle farmacie rurali in Veneto?
Alla distribuzione diretta delle Asl, che ha tolto fatturato alla farmacia, ora si aggiunge la carenza di medici sul territorio. In questo modo i paesi più piccoli saranno ancora più disagiati, creando delle difficoltà enormi alle farmacie rurali che, a differenza di quelle urbane, vivono per l’80 per cento sul farmaco. Anche perché la clientela è poco propensa ad acquistare il parafarmaco: siamo intorno a una media del 20 per cento contro il 40-50 per cento di una urbana.
La Dpc funziona?
La Dpc è arrivata in farmacia con un accordo fatto per non perdere il contatto con il paziente. Il compenso però non è collegato al prezzo del farmaco, ma è una remunerazione fissa netta di 3-4 euro a ricetta, molto più bassa rispetto al passato. Il fenomeno si sta ampliando. Molte Asl stanno investendo sulla Dpc per questioni economiche: l’acquisto è fatto con appalto a prezzo concordato e la distribuzione al paziente è garantita dalla farmacia a cui è dovuto un rimborso minimo.
Si vuole incentivare la farmacia dei servizi?
I servizi sono una bella cosa, gratificano, fai qualcosa per la popolazione, ma sono quasi sempre a costo zero e non remunerano il tempo che si perde per la prenotazione con il Cup o il ritiro del referto, per fare degli esempi. Certo, creano rapporto, ma il compenso è pari a un caffè. Lo so, è un’utopia, ma bisognerebbe che la distribuzione diretta e la Dpc fossero eliminate. Purtroppo da tempo ci si adegua, si lascia che lo Stato decida senza nessun contraddittorio o tentativo di collaborazione effettiva.
Cosa pensa degli investimenti sulla medicina di prossimità, di cui si sta parlando e che sono previsti nel Pnrr?
Stiamo andando dalla parte opposta. Si spendono 4 miliardi di euro per le case della salute o di comunità che accentrano in un solo posto medici di medicina generale, infermieri e specialisti. Nella mia zona sono previsti due centri a Vittorio Veneto e uno a Conegliano.
Non proprio un investimento di prossimità sul territorio…
Mancheranno i medici nei paesi, ma assicurano che attiveranno la medicina domiciliare. Tolgono il medico che fa ricette e portano direttamente il farmaco a casa del paziente, senza passare dalla farmacia. In Emilia Romagna, dove le case della salute esistono già, il valore del farmaco della Distribuzione diretta e della Dpc ha superato quello della farmacia, siamo oltre il 50 per cento del totale.
La farmacia sarebbe quindi tagliata fuori dal network della medicina di prossimità?
Tutto è partito con la legge 405 del 2001, quando si è deciso che le Asl distribuissero farmaci ospedalieri e difficili da gestire. Ci sono delle critiche anche da parte dei sindaci, che protestano perché la tendenza è quella di dimezzare i medici: ce ne saranno una decina ogni 30.000 abitanti contro i venti attuali. La risposta ufficiale è che andranno a casa del paziente portando anche i farmaci, per ridurre la spesa. Si ragiona solo in termini di costi. Non è questa la chiave della sanità territoriale.