La comunicazione ha un volto
Il DIGITALE
La comunicazione ha un volto
Credibilità e impatto reale e misurabile dell’attività degli influencer sono i punti salienti dell’influence economy. Ne parliamo con Francesco Gatti e Paola Tonetti di Ogilvy
4 luglio 2024
di Laura Benfenati
L’impatto dei social network e della cosiddetta influence economy nell’ambito salute è soltanto all’inizio. Era intervenuta lo scorso anno anche Fofi, ribadendo le norme deontologiche che devono guidare sia la comunicazione off line sia quella on line dei farmacisti. E le aziende farmaceutiche guardano con attenzione il fenomeno perché non sempre le informazioni, anche se fornite da professionisti in camice, si rivelano corrette.
Un recente sondaggio commissionato da Ogilvy, agenzia di advertising e pubbliche relazioni, ci dice che il 70 per cento delle persone che si informano o cercano contenuti sulla salute lo fa sui social media e che la maggior parte di loro converte queste informazioni in scelte di consumo o di pianificazione sanitaria.
È necessario però governare il fenomeno e colmare il divario tra competenze troppo specialistiche e l’esigenza di ricevere informazioni chiare degli utenti dei social: Ogilvy ha dunque lanciato un nuovo servizio globale di influencer marketing in ambito salute per fornire ai brand farmaceutici, sanitari e del benessere un corretto accesso alla crescente influence economy. Ne parliamo con Francesco Gatti, head of health di Ogilvy, e Paola Tonetti, PR e influence lead dell’agenzia.
Credibilità e impatto reale e misurabile dell’attività degli influencer sembrano essere i punti salienti dell’influence economy.
Gatti: Attorno all’health influence confluiscono diversi temi di grande rilevanza per il mercato italiano. Una società sempre più anziana significa più persone che convivono con patologie croniche; al tempo stesso, il più elevato numero di persone di sempre sta cercando soluzioni per il proprio benessere e stile di vita sano e lo fa prima di tutto on line, dove segue e interagisce con un gran numero di influencer, dalle formazioni più diverse. In questo incrocio di opportunità e incertezza, i nostri esperti combinano competenze in ambito health e influencer marketing per comprendere, gestire e governare con successo questa opportunità.
Come selezionate gli influencer?
Tonetti: Non è facile trovare quelli dotati di capacità di comunicare, che hanno non soltanto un elevato numero di followers ma anche un reale impatto nella comunicazione. La parte followers e numerica è soltanto uno dei parametri che misuriamo, soprattutto in ambito salute. Tutto il mondo dell’health influence vive di community più piccole, molto fidelizzate, attente all’ascolto rispetto al mondo in cui opera un classico influencer, è quasi una logica da microinfluencer.
L’impatto reale di un influencer come lo valutate?
Gatti: Sulla misurabilità siamo supportati dalla piattaforma tecnologica proprietaria di Ogilvy PR&Influence, progettata per valutare gli influencer da diversi punti di vista combinando diverse metriche: non soltanto il numero di followers ma la qualità dei post, la connessione, la reach (il numero di persone che vedono i contenuti pubblicati, ndr) ecc. Tutte queste informazioni producono un vero e proprio score unitario di influenza, che ci racconta quanto è credibile e impattante la comunicazione di un determinato influencer, siano essi professionisti della salute, giornalisti, istituzioni, creatori di contenuti, associazioni pazienti, ecc. Ciascuno di loro può avere per esempio grande reach ma poca profondità e poca credibilità, o una scarsa capacità di generare conversazioni.
In che modo li formate e controllate?
Tonetti: Professionisti che sono sui social e si presentano con camici e caduceo devono rispettare procedure a monte: c’è sicuramente una selezione all’ingresso e si deve fare distinzione tra quella che è la comunicazione al pubblico e quella intercategoria. Nel primo caso si deve denunciare l’attività all’Albo competente sia a livello nazionale che locale, non si può parlare del prodotto, prima di andare on line dobbiamo inviare un vademecum di quello che verrà detto e dopo l’ok si procede. In questo caso i tempi sono dilatati rispetto a quelli dell’influencer marketing tradizionale e i controlli più stringenti.
I giornalisti hanno l’Ordine alle spalle, gli influencer no. In che modo si garantisce all’utente che l’informazione che gli viene fornita non sia pubblicità?
Tonetti: Noi che lavoriamo con le aziende siamo molto rigorosi in termini di compliance e di trasparenza. Se un messaggio è sponsorizzato da un’azienda, questo viene reso subito visibile: non c’è nulla di male se si danno messaggi coerenti con gli obiettivi dell’azienda ma questo deve essere dichiarato.
Gatti: Sui social basta niente per perdere la credibilità. L’influencer “in casa” si scrive le regole da solo e in Italia non è ancora chiaro quale sia il quadro di riferimento su chi segnala e chi sanziona. Si arriverà a una regolamentazione di sicuro. Noi come operatori del settore svolgiamo un processo di controllo dei messaggi molto rigoroso.
Tra i vostri influencer ci sono anche farmacisti?
Gatti: Ce ne sono ma sono ancora pochi rispetto, per esempio, ai medici. L’influence marketing coinvolge più medici perché funziona molto bene quando si fa awareness, quando si parla di patologie. Anche all’estero 6 campagne su 10 di health influence si qualificano come awareness. Il vantaggio di questa attività è che si coinvolgono persone che normalmente non seguono le campagne in TV, per esempio la popolazione giovane che vive sui social, o gruppi molto focalizzati, come pazienti con patologie rare o specifiche. In Italia siamo lenti sulla curva perché il mercato è molto più regolamentato: noi usiamo lo stesso modello di governance di una pubblicità Otc, è delicato ma importante per la credibilità di tutti. Azienda, agenzia e influencer devono essere allineati su regole molto chiare.
Sui social network ci sono molti titolari di farmacia: come valutate la loro attività?
Gatti: Si comportano come i Ceo della loro azienda, hanno compreso che i social sono piattaforme sulle quali è importante avere visibilità e diventare una sorta di influencer nel consiglio. Noi stiamo studiando con alcune aziende progetti multistakeholder con medici-farmacisti, istituzioni e aziende e la partecipazione dei professionisti prevede formazione sui social e sul personal branding. Possiamo fornire loro strumenti per lavorare, ma il piano editoriale e commerciale deve essere sempre personalizzato. I contenuti che propongono alcune aziende ai farmacisti spesso sono troppo standardizzati, ci sono poche possibilità di differenziarsi.
Che consigli date a un farmacista sulla sua comunicazione social?
Gatti: Serve la capacità di comunicare, la credibilità e un volto, nessuno interagisce con la farmacia ma con il farmacista. Il consiglio è di muoversi prima di tutto a livello locale, sulla comunità a cui si presta servizio. Ricordiamoci che nelle farmacie on line non c’è consiglio, che l’Italia è un luogo di microcomunità e quindi se si ha una credibilità territoriale è consigliabile fare leva su quella.
Tonetti: Il farmacista è riconoscibile, hai con lui un rapporto di fiducia stretto. Le persone cercano on line informazioni sulla salute, soluzioni, risposte ma, soprattutto dopo il Covid, interagire con un volto è sempre più importante.