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Dovremmo cominciare a dire “noi”

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DELLA BASE

Dovremmo cominciare a dire “noi”

farmacisti colleghi team

Etica e morale dell’appartenenza: quando le consuetudini e le regole del gruppo vengono violate e il rispetto lascia il posto al business, si può parlare ancora di “colleghi”?

11 marzo 2021

di Franco Ceccarelli

L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

L’appartenenza
è un’esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo
è quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti
in cui ti senti ancora vivo.
Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire “noi”.

“Canzone dell’appartenenza”, Giorgio Gaber

L’appartenenza a un gruppo – a una categoria professionale – a una struttura economica o a quant’altro obbliga a comportamenti condivisi dalla morale comune a tutti, ma poi influenzati dall’etica professionale, che appartiene al singolo.
La morale è un prodotto collettivo, è al servizio del gruppo, dei suoi bisogni prioritari di sopravvivenza, di protezione, di conservazione. È spontanea, un modo di agire che abbiamo fatto nostro. La mente si è abituata a comportamenti moralmente accettabili e condivisi, depositandoli nelle aree più automatizzate del nostro cervello. La morale coincide quasi sempre con il lecito, il legalmente ineccepibile.
L’etica è invece occasionale, un’esperienza singolare. Si può avere un modo di agire moralmente corretto ma essere poveri di etica. L’etica nasce da un dubbio personale e solitario che produce una scelta, che costringe a tenere qualcosa, a rinunciare ad altro. Per essere un soggetto etico è necessaria una coraggiosa intimità conversativa, disciplinata dalla volontà di consapevolezza. L’etica, nascendo da un dubbio, si avvale delle personali e distintive risorse neurosinaptiche della corteccia prefrontale. Per questo non vi è etica senza riflessione e dialogo introspettivo, che sono funzioni corticali della mente.

Esigenze di bottega

Durante un incontro tra giovani e vecchi colleghi, le scelte di alcuni – moralmente e legalmente ineccepibili – si sono rivelate eticamente scorrette. Senza entrare nei particolari, qualcuno ha preferito perseguire il fatturato a ogni costo invece di mantenere consuetudini, regole non scritte ma da tutti accettate, per evitare tensioni e conflittualità tra colleghi legate a turni e orari. Più professionali, più collaborativi, meno bottegai: era l’etica condivisa dai più.
Vorrei chiedere ai colleghi: ma sentite di appartenere alla categoria o dello stare insieme ed essere farmacisti vi interessa solo il fattore economico?
Essere farmacisti non è semplicemente esitare ricette, incassare ticket, soddisfare le richieste di clienti – a me piace chiamarli pazienti – che vengono dettate non da reale necessità ma piuttosto da falsi problemi o false esigenze creati dalla pubblicità, che ci convince a restare giovani, belli e prestanti in barba all’anagrafe. Ci sono i bilanci che ci impongono certe redditività. Le remunerazioni stanno scemando e sempre peggio sarà. Ma questo non ci giustifica nell’appioppare cianfrusaglie a chi si rivolge a noi come professionisti della salute, per anteporre le nostre esigenze di bottega alle altrui esigenze di salute.

Pillole, rispetto, ascolto

Anni fa fui chiamato a un congresso per parlare a giovani laureandi. Raccontai loro che ai miei collaboratori, specialmente ai neoassunti, suggerivo di curare la loro persona: una persona ben curata dà un’immagine più rassicurante e professionale. Dissi che sotto la doccia dovevano aprire anche il terzo immaginario rubinetto, quello dell’umiltà. Spiegai loro che a noi si rivolgono spesso persone poco acculturate e abbiamo perciò l’obbligo della semplicità e non dello sfoggio della nostra sapienza, di usare un vocabolario chiaro e semplice, di avere la pazienza di ascoltare le loro necessità. Spesso l’ascolto è più salutare della pillola che consigliamo. Dobbiamo cercare di soddisfare le loro esigenze tenendo anche presente le loro disponibilità economiche. Il business solo come logica conseguenza del nostro operato, se corretto e appropriato. La mia soddisfazione fu che alcuni di loro, futuri farmacisti, vennero a congratularsi con me per quello che avevano “imparato” da quella breve chiacchierata.
Ho imparato dai miei genitori, entrambi farmacisti, che la considerazione del paziente – lo preferisco a cliente – passa per il rispetto dell’interlocutore, in tutte le sue sfumature.
Oggi invece il consenso viene cercato con megasconti, alla maniera del supermercato, naturalmente su prodotti convenienti per noi, acquistati in quantità, che non sempre risolvono ma marginano. Ma anche, e purtroppo, con la nostra disponibilità a infrangere le regole dando molto – se non tutto – a tutti; oltre quanto il Codice deontologico e la legge ci consentano. In sostanza le regole ci sono per non rispettarle. Business for business. Il fatturato come totem. Avvilente.

Cosa significa essere colleghi?

Appartenere a una categoria delicata come la nostra significa dare risposte efficaci e non solo convenienti, avere sempre presente quello che è meglio per chi ci chiede aiuto, rispettare regole, rispettare pazienti e colleghi per essere a nostra volta rispettati dalle istituzioni. Matematico.
Mi sono sempre domandato quando la categoria comincerà a parlare al plurale, a usare “noi” invece di “io”. Appartenere a una cooperativa, per esempio, significa rispetto degli accordi presi, dei colleghi che non sono e non vanno considerati come concorrenti e come avversari, anche se i politicanti ci vorrebbero l’un contro l’altro armati per scontrarci e indebolirci economicamente. C’è un disegno?
Ma questo molti di noi proprio non lo capiscono. Diventano soci di cooperative di farmacisti e poi pugnalano alle spalle, e alla fine loro stessi, non essendo soci fedeli. Basti pensare a chi, per uno sconto dello 0,0 per cento in più, sottrae fatturato alla cooperativa, a se stesso, non rendendosi conto che in questo modo diventa il problema, mentre l’appartenenza a una cooperativa e il rispetto delle regole che si sono sottoscritte all’atto di adesione sono la soluzione. O comunque una possibilità in più di sopravvivenza.
Molto spesso mi sono sentito dire: ma è sempre stato così, si è sempre fatto così. Disarmante: non si cambia per pigrizia mentale. Quale futuro?

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