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Di padre in figlio

LA GESTIONE

Di padre in figlio

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Qual è il momento giusto per coinvolgere un figlio in farmacia? Conviene farlo entrare in società o con altra forma di partecipazione? Per tutelarsi da eventuali “colpi di testa” si possono adottare soluzioni analoghe alla donazione di nuda proprietà di un immobile?

25 febbraio 2021

di Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta, Studio Guandalini, Bologna

Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta, Studio Guandalini, Bologna

Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta, Studio Guandalini, Bologna

In una celebre storiella Yiddish una signora chiede a una giovane donna che tiene per mano due figli «Che bei bambini, Signora! Quanti anni hanno?» e la madre, orgogliosa: «Il medico, due; l’avvocato quattro». Anche in molte famiglie di farmacisti almeno uno dei figli diventa – per sua scelta, o per decisione «spintaneamente» indotta – predestinato a succedere ai genitori (o al genitore titolare) nella gestione della farmacia.

Una volta che una figlia o un figlio abbiano deciso (o accettato) di intraprendere la carriera di farmacista, da quando è possibile coinvolgerli sul campo?

Nel rispondere a questa domanda bisogna tenere presenti vari aspetti: spesso ci si lascia sedurre dal (vero o presunto) risparmio fiscale, e ci si dimentica o si sottovalutano rischi di altra natura: in caso di successivi conflitti possono essere veri e propri dolori, che spesso vengono sottovalutati perché esiste un clima di concordia familiare. È bene ed è giusto che i familiari la pensino così; ma il dovere del professionista serio, al contrario, è di ricordare sempre che i matrimoni (o le unioni civili) possono finire; i figli – e i generi e le nuore! – possono non andare d’accordo tra loro o con i genitori/suoceri. Infine, ma non da ultimo, possono anche accadere disgrazie terribili (malattie o infortuni) che rendano un familiare incapace o comunque bisognoso di un amministratore di sostegno. In tutti questi casi, ci si può trovare ad avere in farmacia non solo il familiare che si era scelto, ma anche un estraneo che non si conosce o, addirittura, un soggetto nominato dal tribunale. Bisogna quindi riflettere molto bene sulle scelte e valutare tutti i rischi, pretendendo dal proprio consulente che li illustri in modo adeguato.

La veste giuridica della farmacia

Fatta questa indispensabile premessa, cominciamo col dire che la veste giuridica della farmacia è una prima variabile determinante: nella ditta individuale, infatti, è possibile una formula, quella dell’impresa familiare (art. 230bis c.c.), che non è ammessa nelle società. Si tratta, come molti sanno, di un istituto giuridico in base al quale il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. E la giurisprudenza, costante e risalente (per tutte si veda Cass. 901/2000) afferma che l’attività del familiare che studia per la laurea in farmacia costituisce un investimento nella formazione professionale economicamente valutabile, finalizzato all’interesse aziendale: in altre parole, già per il fatto di iscriversi al corso di laurea (e, deve aggiungersi, di svolgerlo con profitto) il figlio può accampare (ovviamente in proporzione al proprio effettivo contributo, sempre assai difficile da valorizzare in concreto) i diritti che spettano al collaboratore familiare. Tra i quali, ricordiamo, anche il diritto di prelazione in caso di cessione dell’azienda. Ai fini fiscali tuttavia lo studio non è riconosciuto come contributo all’impresa familiare: se si vuole attribuire al figlio una quota di reddito imponibile è necessario che questi svolga un’attività lavorativa in farmacia e che questa sia l’occupazione prevalente. Finché studiano, quindi, i figli maturano diritti di credito che potranno, successivamente, convertire in quote di partecipazione alla farmacia, ma per il fisco non producono reddito. Nella ditta individuale, quindi, l’unico modo per attribuire ai familiari-studenti un reddito fiscalmente deducibile per il titolare è quello di attribuire loro – con una delle formule giuridicamente consentite – un compenso o stipendio per l’attività lavorativa effettivamente svolta in farmacia.

Una quota della società

Ben diverse sono le conclusioni se la farmacia è costituita in forma societaria. In questo caso è certamente possibile coinvolgere i figli già dal compimento del 18° anno, attribuendo loro una quota della farmacia. La formula non è però univoca, perché bisogna distinguere gli effetti civili e fiscali in funzione di molte variabili: non solo il tipo di società (s.a.s., s.n.c., s.r.l., cooperativa) e il tipo di quota, che può essere solo di capitale o con responsabilità illimitata, e può prevedere la partecipazione o l’esclusione dall’amministrazione della società; altrettanto importante è anche il titolo giuridico sulla base del quale il nuovo socio entra in società. La quota infatti può essere acquisita ricevendola per donazione dal genitore, magari con riserva di usufrutto (ma in tal caso l’utile anche fiscale resta imputato a chi ha l’usufrutto), oppure trasferita con patto di famiglia. Ma l’ingresso può avvenire anche attraverso un aumento di capitale, magari valorizzando proprio il credito che il familiare ha maturato laureandosi in farmacia; oppure può essere attribuita una partecipazione a fronte del solo apporto d’opera (il lavoro in farmacia), senza versamento di capitale. Ciascuna di queste soluzioni ha diverse implicazioni fiscali sia in rapporto alla tassazione dell’operazione di accesso (la donazione ha un regime diverso dal patto di famiglia, a sua volta diverso dal conferimento), sia rispetto alla ripartizione del reddito a fini fiscali (nelle s.r.l. il reddito è tassato in capo alla società, e i soci sono tassati sui dividendi; nelle società di persone invece la tassazione avviene “per trasparenza”), sia infine per gli aspetti previdenziali (se non iscritto Enpaf, il socio si dovrà iscrivere all’Inps, a meno che non abbia una partecipazione di solo capitale senza lavorare in farmacia).

L’importanza dei patti sociali

Quanto ai rischi di «colpi di testa» dei nuovi entrati, gli strumenti per tutelarsi sono innumerevoli: alla donazione può essere apposta una condizione di reversibilità (il bene ritorna al donante in caso di morte del donatario), o un onere per il donatario il cui inadempimento comporta la risoluzione della donazione; il patto di famiglia può prevedere specifiche cause di recesso del disponente; ma la tutela più salda e sicura sta nella redazione dei patti sociali (o statuto) della società che, se accuratamente congegnato dai professionisti con idonee clausole volte a prevenire o a risolvere i conflitti, assicura la pacifica convivenza dei soci, all’insegna dell’antico ma inossidabile motto «contratto da nemici per restare amici».

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