Brand advocate della propria azienda
IL DIGITALE
Brand advocate della propria azienda
La presenza on line richiede innanzitutto chiarezza negli obiettivi: intento reputazionale o commerciale aprono a possibilità diverse. Ne parliamo con Stefano Chiarazzo, consulente strategico e direzionale di reputazione aziendale e comunicazione digital, autore di “#Social ceo. Reputazione digitale e brand advocacy per manager che lasciano il segno”
3 settembre 2020
di Laura Benfenati
- Perché hai deciso di scrivere questo libro?
La social leadership è un tema sempre più centrale per i manager ma in Italia se ne parla ancora poco. Spesso la si confonde con la loro presenza sui social media, ma non è così. È invece uno status che si guadagnano ogni giorno grazie alla reputazione che viene riconosciuta loro dalle diverse comunità in cui operano. Il ruolo aziendale non basta, serve un impegno costante e visibile nel rispondere con le proprie decisioni, azioni e parole alle aspettative di tutte le controparti sociali. Un grande investimento di tempo e risorse, è vero, che incide però positivamente sulla reputazione della propria azienda.
- Il libro è rivolto ai manager ma potrebbe essere utile anche ai farmacisti: come si può misurare la reputazione di una farmacia?
Il titolare di una farmacia è sia un professionista della salute sia un manager. Un doppio ruolo che deve sempre bilanciare la sua vocazione sociale ed etica con la capacità imprenditoriale di guidare un’azienda che produca benessere per tutte le controparti: per citarne alcune, dipendenti, fornitori, clienti e comunità locali e digitali. La reputazione di una farmacia e del suo titolare dipende dalla rilevanza e credibilità che deriva da tutto questo, e si può monitorare attraverso l’affezione e la soddisfazione che le differenti parti sociali testimoniano e si raccontano l’un l’altro, anche attraverso le segnalazioni, le recensioni e le interazioni sul web.
- Come un titolare può diventare brand advocate della propria farmacia?
Vedo crescere il numero di “farmacisti influencer” che prediligono, in particolare sui social media, uno stile comunicativo da celebrity. Il brand advocate non fa personal branding, ma rappresenta l’impegno e i valori della propria farmacia e del proprio team facendo un passo indietro per il bene dell’azienda e dei propri interlocutori sociali. Sul digitale il titolare deve rappresentare la propria farmacia traducendo quello che è già off line: un punto di riferimento accessibile, empatico e credibile nel fornire informazioni e consulenza per rispondere alle esigenze di salute, bellezza e benessere del cittadino.
- Cosa manca in questo momento, secondo te, alla farmacia per riuscire a competere con l’e-commerce che è esploso durante il lockdown?
La farmacia si trova oggi a dover riappropriarsi dell’autorevolezza sul territorio, spingendo le persone a recarsi presso la propria farmacia di fiducia anziché acquistare on line. Un obiettivo difficile, che può essere portato avanti solo attraverso un approccio integrato omnicanale che aiuti la presa in carico del paziente attraverso la raccolta centralizzata dei dati, la comunicazione personalizzata e l’interazione in tempo reale, offrendo così servizi continuativi che valgano quella fiducia e fedeltà necessari per incentivare i cittadini a tornare in farmacia. In quella farmacia.
- Tu che hai grande esperienza in comunicazione digitale, che consigli daresti ai farmacisti che si accingono a investire sui social?
Partire sempre dal perché. Qual è il motivo reale per cui vogliamo stabilire una presenza sul digitale? Un intento reputazionale e un intento commerciale aprono a possibilità molto diverse, in termini di scelta delle piattaforme, di tipologie di contenuti e di metriche di misurazione dei risultati. Avere chiarezza degli obiettivi è il passo più importante di tutti, che permetterà di investire al meglio le proprie risorse economiche e di tempo, focalizzandosi davvero su ciò che serve alla farmacia, ai suoi dipendenti e business partner e, non ultimo, ai cittadini.