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Nel futuro, il farmacista di famiglia

L'INTERVISTA

Nel futuro, il farmacista di famiglia

Scelto liberamente dal cittadino, potrebbe occuparsi di cronicità e aderenza terapeutica. Ne parliamo, nell’intervista di copertina del prossimo iFarma, con Venanzio Gizzi, presidente di Assofarm e dell’Unione europea farmacie comunali, che si dimostra ottimista sulla nuova Convenzione ma certi cambiamenti devono avvenire in fretta, non c'è più tempo.

Clicca play per guardare la video intervista (durata: 13 minuti)

24 giugno 2020

di Laura Benfenati e Carlo Buonamico

Non tutto il male vien per nuocere. Dalle ceneri della pandemia potrebbe sorgere una nuova fenice per la farmacia. Tra estensione della Dpc e relativo adeguamento della remunerazione, la non brillante situazione economica in cui versa oggi la farmacia potrebbe essere controbilanciata anche dalla nascita del “farmacista di famiglia”. A patto che la farmacia stessa identifichi quale deve essere la sua nuova mission  e che essa sia riconosciuta dalle istituzioni sanitarie.

Trasformare le criticità in opportunità è una delle regole di ogni buon imprenditore. L’impresa farmacia come sta interpretando questa “formula”?

Come per tutte le imprese è proprio nei momenti di trasformazione e cambiamento che vengono colte le opportunità per un riassetto e per la ridefinizione della propria mission. Le farmacie comunali devono trarne tesoro perché possono rinforzarsi. L’impresa farmacia a maggior ragione deve essere strutturata per poter prestare servizio in qualsiasi situazione e con qualsiasi emergenza.

L’emergenza sanitaria ha fatto emergere in modo evidente le criticità del sistema sanitario nazionale e di quelli regionali. Alcuni segnali di riforma iniziano a vedersi, come la Dpc di alcuni farmaci normalmente in distribuzione diretta attivata in alcune Regioni. Si tratta di un’opportunità per il futuro?

Sin dall’inizio della pandemia, la giunta esecutiva di Assofarm ha raccolto unanimemente una mia proposta: distribuire a titolo gratuito sul territorio i farmaci attualmente distribuiti in forma diretta. Abbiamo inoltrato la nostra disponibilità alle Regioni; alcune l’hanno recepita, con altre è tuttora in corso un’interlocuzione. L’emendamento Gemmato al decreto “Liquidità” ha reso possibile il passaggio di alcuni farmaci dalla diretta alla Dpc. La legge 405 ha ormai 20 anni e a nostro giudizio non corrisponde più alle esigenze di salute dei cittadini. L’emergenza Coronavirus ha contribuito a un ripensamento in questa direzione.

Ci sono opportunità di una modifica strutturale, in Convenzione, delle modalità di accesso al farmaco da parte dei pazienti cronici o con gravi malattie?

Sicuramente sì. I pazienti più fragili non possono sopportare disagi sistematici per il ritiro dei farmaci. Non possiamo più accettare 21 sistemi sanitari. Nell’atto di indirizzo delle Regioni per il rinnovo della Convenzione con il Servizio sanitario nazionale esse chiedono l’armonizzazione della Dpc, rendendola omogenea su tutto il territorio. Noi vogliamo che la Dpc venga allargata a tutti i farmaci ancora in diretta, con esclusione, ben inteso, di quelli che per “ragion tecniche” devono essere erogati sotto il controllo delle farmacie ospedaliere. Nella farmacia di prossimità, grazie all’ausilio del farmacista, il cittadino può accedere a una cura differente rispetto a quanto avviene con la distribuzione centralizzata dei medicinali talvolta dispensati a parenti e caregiver  e non al paziente in prima persona, che per tante ragioni non può recarsi in ospedale.

Quali sono in questo momento gli ostacoli al rinnovo della Convenzione? Si può essere ottimisti?

Il tavolo dovrà essere nuovamente convocato dopo questa pausa forzata e le farmacie vi andranno con una posizione più forte, per tutto quello che hanno saputo esprimere in questo periodo. La sfida più grande è riuscire ad armonizzare le differenze regionali, ma vogliamo essere ottimisti, perché non c’è più tempo. Se le cose non cambiano, la farmacia non potrà svolgere quel ruolo indispensabile in un nuovo  modello di gestione della salute con il paziente al centro e il territorio sempre più protagonista.

Ritiene che l’assetto remunerativo delle farmacie sia adeguato a un eventuale passaggio alla Dpc anche dei farmaci più costosi della diretta?

Naturalmente la remunerazione deve cambiare. Soprattutto per la distribuzione territoriale dei farmaci ad alto costo. Assofarm già a partire dal 2006 ha sollevato la necessità di un cambio di remunerazione del farmacista. Quest’ultimo non può e non deve essere remunerato a percentuale sul fatturato. I farmacisti devono avere un trattamento funzionale affinché i farmaci, tutti i farmaci, vengano esitati attraverso la farmacia.

Su questo però la filiera non è compatta: Farmindustria, per esempio, ritiene che la remunerazione dei farmacisti non possa essere scorporata dal prezzo del farmaco.

Anche la nostra proposta di una diversa remunerazione del farmacista elaborata nel 2006, quella cosiddetta “fee for service” prevedeva, come del resto la legge che invitava le farmacie a elaborare una proposta in tal senso, una parte della remunerazione fissata in base al prezzo del farmaco. Le farmacie non hanno mai chiesto una revisione delle quote di spettanza riservate ai produttori dei farmaci. Ritengo quindi che la filiera dovrà dimostrare anche su questo argomento la necessaria coesione. Una nuova remunerazione è necessaria per consentire attività come la presa in carico del paziente o il controllo dell’aderenza alla terapia.

Strettamente legato a questo c’è il tema del dossier farmaceutico: che fine ha fatto? Si può sperare che prima o poi diventi realtà?

Il dossier farmaceutico è uno strumento importante per i cittadini, per i pazienti, lo sosteniamo da tempo, ci sono esperienze europee positive. Nel nostro Paese è previsto da tempo, ma in nessuna Regione è stato attivato. Qual è il problema principale? Nessun sistema informatico di una Regione è uguale all’altro e anche tra Asl e Asl ci sono spesso programmi diversi. Difficile quindi che il dossier farmaceutico possa essere attuato se i modelli informatici nel Paese non sono uniformi.

L’eterna questione dei progetti che nel nostro Paese si bloccano. Uno sul quale avevate investito molto come Assofarm era stato Adhere. A che punto è quella sperimentazione?

Adhere è un progetto eccellente sotto il profilo scientifico, una sperimentazione all’avanguardia che ha avuto una fase di rallentamento. Siamo però fiduciosi e contiamo che possa ripartire presto: crediamo molto nell’importanza di studi autorevoli, con protocolli di qualità, che consentano di dimostrare il ruolo importante che può avere il farmacista sul territorio.

L’emergenza sanitaria ha messo in evidenza ancora una volta l’importanza dei servizi erogati dalle farmacie territoriali. Le vaccinazioni potrebbero essere tra questi? I farmacisti sono pronti?

Esistono 20 mila presidi sanitari già organizzati all’interno del Ssn che devono essere ulteriormente valorizzati, perché è sul territorio che si possono sconfiggere le pandemie. Con l’esperienza che stiamo vivendo alla guida dell’Unione europea delle farmacie sociali, possiamo testimoniare che in altri Paesi europei le vaccinazioni vengono fatte in farmacia. Non riusciamo a comprendere perché questo tipo di azione sanitaria non possa essere permessa anche in Italia. In Francia il Governo ha autorizzato le vaccinazioni in farmacia con un decreto e la copertura vaccinale è cresciuta in modo significativo. La farmacia dei servizi deve valorizzare la sua funzione all’interno di una rete che comprenda i Mmg e gli altri operatori della salute e che permetta di esprimere al meglio tutte le professionalità coinvolte, in coordinamento tra loro.

Tra gli innumerevoli emendamenti al decreto “Rilancio”, uno a firma 5 Stelle parla di “farmacista di famiglia”. Di libera scelta da parte dei cittadini al pari del Mmg, potrebbe prendere in carico le terapie dei pazienti cronici, effettuare prestazioni analitiche di prima istanza, con una remunerazione in base al numero di pazienti assistiti. In cosa consisterebbe esattamente questa nuova figura professionale?

L’emendamento del Movimento 5 stelle a cui fa riferimento cita espressamente, quale punto di ispirazione, proprio le considerazioni sul tema poste da Assofarm due anni fa quando, per primi, lanciammo l’idea del “farmacista di famiglia”.

Occorrerebbe una formazione ad hoc per i farmacisti già in servizio? E corsi accademici specifici?

Il farmacista è già pronto sia sotto il profilo professionale sia in termini di conoscenze. Assofarm offre da tempo un percorso Ecm che fornisce 48 crediti sui 50 necessari. Siamo pronti per inserire all’interno di questa formazione, in tempo reale, ciò che le nuove norme dovessero richiedere. In questa direzione la Federazione nazionale delle farmacie continuerà a investire per rendere i farmacisti padroni dell’innovazione e delle nuove tecnologie farmaceutiche.

Riusciremo veramente a vederlo all’opera questo “farmacista di famiglia”? Del resto, i farmacisti dedicano già molte ore alla consulenza del cittadino-paziente, con ricadute positive sul numero e sulla gravità delle acuzie e dei costi sanitari correlati. Si tratterebbe anche di un’attività che potrebbe controbilanciare i margini sempre più bassi della farmacia sulla convenzionata…

Purtroppo, conosciamo tutti il valore rappresentato dalle ricette per la farmacia. Tale valore ha avuto una costante e netta diminuzione negli ultimi anni. Ora si deve decidere se la farmacia deve diventare un centro di riferimento per la salute dei cittadini o prendere una deriva commerciale. Noi propendiamo per la prima ipotesi, perché esistono le condizioni e perché i farmacisti hanno dimostrato e continuano a dimostrare di poterlo fare.
Come associazione, ciò significa che dobbiamo lavorare sulla farmacia dei servizi, sulla presa in carico dei pazienti e sul processo di verifica dell’aderenza terapeutica. Così come sulla Convenzione con il Ssn. Vogliamo che al più presto si costituiscano i team multiprofessionali per la salute composti da farmacista, medico di medicina generale, specialista, infermiere eccetera.  Auspichiamo di poter concludere questo iter il più presto possibile, anche perché la farmacia sta attraversando una fase economica non brillante. Ma può recuperare, perché gode della massima fiducia e attenzione da parte dei cittadini e quindi il farmacista di famiglia, insieme alle altre figure sanitarie, può rappresentare la fattiva traduzione della territorializzazione della sanità italiana.

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