Aprile 2020
EDITORIALE
Aprile 2020
#noirestiamoinfarmacia
Stremati. È l’aggettivo che meglio descrive le condizioni dei farmacisti in queste ore, in questi giorni. Ce lo scrivono, ce lo raccontano a pagina 6, ce lo dicono le foto con le barriere in plexiglass sui banchi e gli occhi stanchi dietro a mascherine recuperate qui e là.
La farmacia è il primo presidio sanitario sul territorio ma mai come durante l’emergenza Covid-19 è stato così evidente. Evidente purtroppo a noi del settore prima che ad altri, perché sui media i farmacisti all’inizio non sono stati considerati. Il presidente del Consiglio, il commissario Borrelli hanno ringraziato plurime volte medici e infermieri – che indubbiamente sono in prima linea a fronteggiare questa emergenza – ma nelle prime due settimane di misure straordinarie si sono dimenticati dei farmacisti.
Si danno sempre un po’ per scontate le farmacie e i titolari sono considerati privilegiati anche in questa circostanza: in fondo possono continuare a lavorare mentre un intero mondo commerciale e produttivo è costretto a fermarsi. Fare i farmacisti in questi giorni però non è proprio questo gran privilegio: significa soprattutto paure, lacrime, ansie per i familiari, senso di impotenza nel non poter soddisfare le richieste dei propri clienti, decine e decine di telefonate giornaliere di chi chiede le mascherine, loschi figuri che entrano in farmacia a proporle a prezzi vergognosi.
E poi alla conferenza stampa della Protezione Civile, ogni giorno alle 18, si sentono continui annunci sull’arrivo di enormi quantitativi di mascherine dall’estero destinati agli operatori sanitari: in farmacia però all’inizio della terza settimana di misure straordinarie non sono ancora arrivate, una vergogna. I titolari hanno fatto da soli: si sono organizzati, hanno montato schermi sul banco, hanno iniziato a produrre gel, hanno recuperato mascherine innanzitutto per le proprie squadre in trincea. E hanno cominciato ad avere sempre più paura. È mancato il primo collega e poi il secondo, mentre i medici di medicina generale già da giorni avevano chiuso i loro studi. Si piange in farmacia, ha detto Andrea Raciti, titolare ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, raccontando a Corriere.it delle 42 chiamate per bombole di ossigeno, durante il turno di notte, che non ha potuto soddisfare perché bombole non ce ne erano più: «Non mi vergogno a dirlo ma ho pianto 42 volte».
Sono mancate totalmente linee guida alla categoria in questa emergenza, sono emersi più che mai i limiti della sanità regionalizzata, i titolari sono stati lasciati soli, come scrive Maurizio Bisozzi a pagina 6: «Avamposti dimenticati dalle istituzioni in ritirata, siamo in trincea a dare risposte, a tranquillizzare, a trasmettere quella fiducia che facciamo fatica a trovare anche in noi».
Che sia stata colpa dell’oggettiva difficile interlocuzione con le istituzioni in un momento così critico, dell’assenza di un’unità di crisi permanente in Federfarma o della mancanza di una strategia di comunicazione efficace lo dirà il tempo, a bocce ferme, quando tutto sarà alle spalle. Questa drammatica emergenza può però aiutare a far comprendere una volta per tutte che le farmacie sono il baricentro del Servizio sanitario sul territorio, che la Dpc ha un senso più della distribuzione diretta, che in farmacia ci sono professionisti sanitari straordinari. È la rete delle farmacie che è una forza, sono i singoli titolari, con i loro collaboratori, sul campo. E meritano molto di più.
#noirestiamoinfarmacia
LAURA BENFENATI
Direttore Responsabile, farmacista e giornalista professionista, da anni direttore delle più note riviste del settore