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Contro Sars-coV-2 l’Italia cala l’asso della reverse vaccinology 2.0

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Contro Sars-coV-2 l’Italia cala l’asso della reverse vaccinology 2.0

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Al via il progetto di ricerca di Toscana Life Sciences e Istituto Spallanzani sugli anticorpi monoclonali da pazienti convalescenti. Con la “reverse vaccinology 2.0” se ne studierà l’uso come terapia e per lo sviluppo di vaccino contro Covid-19.

28 marzo 2020

di Carlo Buonamico

Punta tutto sulla “reverse vaccinology 2.0” l’accordo biennale siglato pochi giorni fa tra Fondazione Toscana Life Sciences di Siena e l’Ospedale Spallanzani di Roma. Obiettivo comune la ricerca di nuove armi terapeutiche contro il virus Sars-coV-2, meglio noto come Covid-19. «La novità offerta dall’approccio dalla reverse vaccinology 2.0 è quello di utilizzare gli anticorpi monoclonali dei pazienti convalescenti o guariti dall’infezione del virus, dopo purificazione, ottimizzazione molecolare e produzione industriale, da un lato come terapia per altri pazienti dall’altro per sviluppare vaccini contro il virus stesso. Un doppio vantaggio, quindi», spiega Claudia Sala, Erc Senior Scientist vAMRes LabFondazione Toscana Life Sciences.

Ma come funziona questo innovativo approccio di ricerca ideato da Rino Rappuoli, noto esperto internazionale di vaccini e Chief Scientist and Head External R&D di GSK Vaccines a Siena nonché Principal Investigator del progetto ERC vAMRes presso la fondazione senese? In pratica, dal sangue dei pazienti – dello Spallanzani, che lo doneranno su base volontaria e nel rispetto della privacy – che hanno sconfitto l’infezione si isolano solo le cellule del sistema immunitario (cellule B) che producono gli anticorpi contro il Coronavirus. Queste cellule vengono poi coltivate in laboratorio e gli anticorpi (monoclonali) da esse prodotti vengono testati, sempre in vitro, in termini di efficacia contro il virus. Ma non finisce qui. La ricerca prevede anche la possibilità di modificare l’anticorpo monoclonale per renderlo più stabile e più capace di riconoscere il virus, in altri termini più efficiente. «Per quanto lo sviluppo di un vaccino, invece, questi anticorpi sono usati come un’esca molecolare che, legandosi in modo preciso alle proteine virali responsabili dell’infezione permetterà ai ricercatori di disegnare, più velocemente, un vaccino specifico proprio per quelle proteine», aggiunge Sala.

Una ricerca che sembra quasi facile a dirsi. Ma che richiede tempo… «Non vogliamo creare falsi allarmismi. Nella migliore delle ipotesi l’intero processo richiederà 24 mesi», evidenzia prudentemente il presidente di Fondazione Toscana Life Sciences, Fabrizio Landi. A cui si aggiungerà poi il tempo per la produzione industriale su larga scala delle dosi di anticorpi monoclonali. «Per questo ultimo step», aggiunge Landi, «si potrà riconvertire un impianto di Gsk Vaccines in dotazione a Toscana Life Sciences», oltre al ricorso ad altri partner per potenziarne ulteriormente lo scale up. …e notevoli investimenti. La fase iniziale sarà coperta da 5 milioni di euro arrivati a Siena da fondi europei e anche da mecenati italiani. Per la messa in moto dell’impianto produttivo, invece, ne serviranno altri 4 che sono stati allocati dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). Nel mezzo ci sarà poi la fase clinica di testing sull’uomo, per le quali i fondi sono ancora da identificare.

Vien però da chiedersi: se il progetto avrà esito positivo, chi sarà a trarre vantaggio dalla vendita della terapia o del vaccino? «Tutti noi», chiosa Landi, «perché questa partnership è fatta da due soggetti non-profit, che saranno detentori della proprietà industriale delle invenzioni».

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