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Assicurazioni sanitarie: complementari, più che integrative

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Assicurazioni sanitarie: complementari, più che integrative

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Complementare, più che integrativa, la copertura sanitaria erogata dalle assicurazioni private giocherà un ruolo importante per la sostenibilità delle cure.

09 ottobre 2019

di Carlo Buonamico

Le assicurazioni sanitarie giocheranno un ruolo sempre più importante nella sanità. Non come alternativa alle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale, ma in ottica complementare ad esso. Così il professor Mario del Vecchio dell’Università Bocconi, intervenendo all’Health & Medmal insurance summit tenutosi l’8 ottobre a Milano, ha sintetizzato la posizione che potrebbero avere nel prossimo futuro questo tipo di polizze, che stanno conquistando pian piano quote di mercato.

Il motivo, pur articolato, risiede prevalentemente nel fatto che ai bisogni di cura dei cittadini non corrisponde sempre un’offerta adeguata in termini di tempistica e logistica da parte della Sanità pubblica. In altri termini «i 30 o 60 giorni entro cui si può accedere a una determinata visita specialistica, ritenuti accettabili dal Ssn, non sono considerati altrettanto soddisfacenti da parte del paziente che, qualora la proposta offerta dalla sanità integrativa abbia un costo relativamente superiore a quello del ticket, preferisce pagare e accelerare l’accesso alla prestazione», ha spiegato Del Vecchio.
Di fatto «nel 62 per cento dei casi i cittadini ricorrono alla sanità privata proprio per ovviare a liste d’attesa troppo lunghe», ha illustrato l’amministratore delegato di Rbm Assicurazione salute, Marco Vecchietti, «oppure per riuscire ad essere visitati proprio dallo specialista che possono scegliere e di cui si fidano (42%)».

Del resto la tenuta del quarantenne Ssn, pur preso a modello a livello globale per le sue caratteristiche di universalità di accesso alle cure, rischia di saltare: «I 1.900 euro all’anno per ogni italiano allocati dalla spesa pubblica non sono più sufficienti», ha ricordato Del Vecchio, per sostenere una Sanità che naviga veloce verso la necessità di un numero sempre maggiore di prestazioni diagnostiche continue, anche in ottica preventiva. Ed è «virtualmente impossibile che il punto percentuale di Pil in più – circa 17 miliardi di euro – che sarebbe necessario per dare nuovo slancio alla Sanità pubblica possa essere dedicato» a questo capitolo di spesa del bilancio dello Stato, ha continuato il professore bocconiano, «perché la scelta politica preferisce, a torto o a ragione, distribuire questa cifra in misure quali “quota 100” o gli 80 euro in busta paga».

E allora, mentre aumenta l’importanza che gli italiani attribuiscono alla propria salute, essa tende a diventare un’opportunità di consumo, intesa nell’accezione positiva del termine, che segue le leggi di mercato. All’interno del quale le assicurazioni sanitarie si possono posizionare come complemento di quanto il settore pubblico, peraltro ritenuto fondamentale e di buona qualità secondo l’ultima ricerca CensisRbm, non riesce a soddisfare.
Se anche il nuovo Patto per la salute allo studio del ministero guidato da Speranza «parla finalmente di una sanità non più integrativa, ma complementare al Ssn», un motivo potrebbe esserci. «Un aspetto non meramente lessicale, ma un fondamentale passo avanti nella comprensione dei bisogni dei cittadini italiani di vedere confermato al contempo il ruolo centrale del Ssn e di avere in affiancamento un valido strumento di gestione per le proprie cure private», ha chiosato Vecchietti.

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