La storia infinita
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La storia infinita
A Ferrara, al convegno di Assofarm, si è discusso di sostenibilità della farmacia e di nuova remunerazione. Tra i modelli emiliano, lombardo, marchigiano, i nodi da sciogliere sono ancora molti.
10 giugno 2019
di Laura Benfenati
Tornando a Ferrara, città che amo molto e dove ho studiato farmacia, in occasione del convegno Assofarm “Le farmacie comunali tra storia, tradizione, innovazione e assetti futuri di mercato” per festeggiare i 60 anni delle comunali della città, ho ripensato a nonna Mercedes, che negli anni ’50 gestiva la farmacia di Berra, lungo il Po, e di due paesi lì vicino, Cologna e Serravalle. Oggi quel servizio è effettuato da tre farmacie e sicuramente in zone rurali come quella i titolari garantiscono ancora più di allora un presidio straordinario di capillarità e assistenza. Le trasformazioni epocali che il canale sta vivendo sono iniziate molto tempo dopo, nel 2001, con la famigerata legge 405 che ha dato inizio alla Distribuzione diretta, e sono poi aumentate esponenzialmente negli ultimi anni, minando, come è noto, la sostenibilità dell’intero sistema. Il dato allarmante che Assofarm ricorda è che la Dcr è scesa negli ultimi 10 anni del 40 per cento. Il mercato dei farmaci Ssn nel canale farmacia è diminuito dal 2007 al 2018 di quasi 2 miliardi e mezzo (dato Iqvia) e l’incremento della Dpc è sotto gli occhi di tutti, in particolare proprio in Emilia Romagna. E poi ci sono i nuovi competitors, dall’e-commerce alle catene, che minacciano e minacceranno sempre di più il servizio farmaceutico. “Lo Stato, le Regioni, devono dirci una volta per tutte cosa si aspettano dalle farmacie”, ci ha detto il presidente di Federfarma Marco Cossolo. Questo è il punto essenziale. L’interesse dei pazienti è prioritario per tutti, indubbiamente, ma deve essere coniugato con gli interessi legittimi delle categorie professionali e, aggiungiamo noi, con la sostenibilità dell’azienda farmacia. Ben vengano i servizi, dunque, ben vengano iniziative che mettano in risalto sempre di più il fatto che la farmacia è un presidio professionale e non un esercizio commerciale, ma deve esserci redditività. In un recente editoriale, il presidente di Assofarm Venanzio Gizzi ha ricordato che è stata proprio l’associazione delle farmacie comunali, quasi 15 anni fa, a parlare per la prima volta di “nuova remunerazione delle farmacie” e che il nostro Paese è oggi in un ritardo impressionante, su questa questione, rispetto al Nord Europa. Lo Stato deve decidere cosa vuole fare delle farmacie, se le vuole oppure no presidio del Ssn.
LA CHIMERA REMUNERAZIONE
Di tutto questo si è parlato al convegno ferrarese, nel quale aleggiava la domanda “Si riuscirà oggi ad arrivare a una nuova remunerazione?”. Secondo Gizzi le due condizioni necessarie per ottenerla sono emanciparle dal fatturato, ma anche valorizzare i servizi cognitivi che il farmacista effettua. Smarcarsi dalle scatolette, potremmo dire, diventare sempre di più consulenti di salute, prendere in carico i pazienti cronici. Se ne parla da tempo. Emidia Vagnoni, docente alla Facoltà di Economia dell’Università di Ferrara, ha ricordato che “la farmacia genera valore per la comunità attraverso i servizi, le esperienze internazionali lo raccontano. È stato dimostrato anche in Italia, con l’esperienza del Mur e quella in Regione Piemonte. Il margine lordo della farmacia deriva dunque da un mix tra l’attività Ssn tradizionale, l’attività Ssn professionale e l’attività commerciale” (figura 1). In questa direzione va il nuovo protocollo di intesa tra Regione Emilia Romagna, Federfarma e Assofarm: “Distribuzione dei farmaci, assistenza integrativa e Farmacia dei Servizi per il biennio 2019-2020”. Il documento, presentato a Ferrara, prevede un progetto sperimentale di distribuzione, tramite farmacie territoriali, di pacchetti di farmaci prescritti nella terapia medica. La sperimentazione parte dalle farmacie rurali, presidi che più di altri si rivolgono a cittadini lontani dagli ospedali: l’assessore alla Sanità della Regione Sergio Venturi ha sottolineato che la distribuzione diretta deve essere ridotta e ricondotta alla sua funzione originaria di supporto alla dimissione ospedaliera e di dispensazione di farmaci del tutto particolari, mentre la farmacia, “il cui ruolo è riconosciuto anche dal Piano nazionale delle cronicità, dovrà essere maggiormente valorizzata nelle sue caratteristiche di prossimità”. Il nuovo protocollo, con la fornitura ai pazienti cronici di uno o più mesi di terapia in un’unica soluzione, rappresenta davvero un’opportunità oppure un rischio per le farmacie? Il superamento della 405/2001 o il suo trionfo? E si risparmierà o si rischiano sprechi? Per i farmacisti è un’occasione professionale importante ma la sostenibilità sarà garantita? Può essere un modello nazionale, come ipotizzano gli emiliani, o non sarà mai possibile omogeneizzare la distribuzione per conto, che era l’obiettivo di due anni fa del nuovo sindacato “Farmacia futura”?
UNA SINTESI POSSIBILE?
Le differenze regionali sulla Dpc sono oggi imbarazzanti. Ne ha parlato Francesco Cavone, Associate Director, Italy Offering Innovation & Strategic Partnership, Consumer Health di Iqvia: “Il valore Dpc Italia è di 2,3 miliardi di euro con un incremento del 13,3 per cento rispetto al 2017 e una spesa pro capite di 39,4 euro (figura 2): la Regione con il più alto numero di farmaci movimentati è la Toscana, quella con il più basso la Lombardia e il prezzo medio per confezione dispensata passa dai 30,1 euro dell’Emilia Romagna ai 75,3 della Lombardia”. Come è possibile ipotizzare una Dpc nazionale che possa andare bene a tutti? E inoltre, sganciare sempre di più la remunerazione dal prezzo del farmaco non risulta un pericolo, visto che il margine per le farmacie è una leva finanziaria importante? La presa in carico di certo riduce i costi sanitari ma i risparmi ottenuti verranno poi riconosciuti alle farmacie? A livello nazionale le risposte a queste domande sono molto diverse. Entrano in gioco non solo la riforma della remunerazione ma anche la Convenzione, per quel che riguarda i servizi e la presa in carico. L’assessore Venturi ha sottolineato la necessità di “aggiornare l’Atto di indirizzo“, sui cui presupposti la Sisac ha elaborato la bozza di accordo sottoposto alle farmacie. “Tale documento fu predisposto nel 2016 con l’assessore Garavaglia presidente del comitato di settore”, ha spiegato Venturi. È opportuno, quindi, procedere a una revisione di tale importante documento che tenga conto di funzioni e ruoli che si intendono assegnare alle farmacie come parte importante del Ssn e, successivamente, arrivare, quanto prima, al rinnovo della Convenzione». A tal fine, Venturi si è dichiarato disponibile ad ascoltare le nuove proposte delle associazioni dei farmacisti pubblici e privati.
MENO DIRETTA PER TUTTI
Molto soddisfatto Marco Cossolo della retromarcia sulla Distribuzione diretta in una Regione simbolo come l’Emilia Romagna e della disponibilità a cambiare l’Atto di indirizzo della Convenzione. La Dpc su tutti i farmaci è stata esclusa con fermezza a Ferrara dal presidente di Federfarma: “Un disegno di massima dovrebbe prevedere l’acquisto di una parte di farmaci – quelli ad alta prevalenza e basso valore unitario – con una remunerazione in parte fissa e in parte a margine, come si era ipotizzato nel 2012. I rimanenti farmaci, quelli con alto costo unitario e bassa prevalenza potrebbero essere distribuiti in Dpc, magari con il cosiddetto modello Marche» [ne abbiamo parlato su iFarma di marzo, ndr.]. Se però come ha precisato Venanzio Gizzi, “I pacchetti valorizzano la professionalità, non si deve mettere in discussione il sistema dei doppi prezzi, non si deve intralciare la Dpc”, dalla Lombardia arriva au contraire la sollecitazione a mettere in discussione il sistema dei doppi prezzi, si sottolinea che i pacchetti possono essere pericolosi per la sostenibilità della farmacia e che non si deve sganciare la redditività dalla curva dei prezzi. E rimane il nodo economico da sciogliere: quanto verranno remunerati i pacchetti? Belli i modelli, interessanti le prospettive a lungo termine e il riconoscimento di ruolo, ma la questione economica non è certo irrilevante. Del modello Marche ha parlato anche il commercialista Giovanni Trombetta, dello Studio Guandalini, definendolo un positivo “sistema ibrido” basato su un sistema consortile tra distributori intermedi ma ha sottolineato l’importanza oggi di vincoli regionali non facilmente superabili e di una resistenza ideologica su un sistema allargato di Dpc. Non irrilevante è poi la posizione della distribuzione intermedia, difficilmente d’accordo sull’estensione del modello Marche a livello nazionale. E, ha sottolineato Trombetta, non è stato coinvolto chi produce il farmaco. Cossolo ha messo in evidenza che quel modello presenta alcune complessità, per la filiera come per la parte pubblica, che sembrano renderlo inadatto a diventare un modello esportabile a livello nazionale: “Per quanto attiene la filiera bisogna considerare che la Regione Marche è piccola e ha pochi grossisti. In un territorio più ampio l’organizzazione di tale modello distributivo non sarebbe altrettanto facile. Per quello che riguarda l’organizzazione della parte pubblica, l’estensione del modello Marche in tutte le Regioni necessiterebbe di un percorso progressivo perché bisognerebbe addivenire a un trasferimento dei contratti tra le Regioni e il soggetto organizzatore delle operazioni di acquisto e di successiva distribuzione alle farmacie. Il modello Marche per la remunerazione della Dpc merita comunque un’attenta valutazione perché permetterebbe di abbassare l’Iva con beneficio della parte pubblica e poi perché riporterebbe in capo alla filiera l’acquisto e la distribuzione del farmaco. Per quel che riguarda il modello emiliano, invece, mi fa molto piacere sentire dall’assessore Venturi che la diretta deve tornare alla sua funzione originaria”. “Da anni stiamo cercando di costruire un modello di farmacia comunale sempre più funzionale, tanto dal punto di vista sanitario che economico, ai sistemi sanitari regionali”, ha concluso il presidente di Assofarm Venanzio Gizzi. “Ci piace pensare che questo impegno abbia avuto un ruolo nella scelta dell’assessore Venturi di dire queste cose a un nostro convegno. Cogliamo immediatamente il suo invito e nei prossimi giorni avvieremo una stretta collaborazione con Federfarma per lavorare insieme a una proposta di nuovo Atto di Indirizzo“. Riassumendo, dunque, si lavora per inserire i servizi in convenzione e per trovare una sintesi tra modelli di remunerazione emiliano, lombardo, marchigiano. Difficile che si arrivi a una Dpc generalizzata con valori uniformi nazionali ma sarebbe già un bel risultato avere liste omogenee di diretta, convenzionata, Dpc. La meta, purtroppo, sembra ancora lontana.
Pubblicato su iFarma – Giugno 2019