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Servizi sanitari in farmacia, la polemica non si ferma

TRE DOMANDE A…

Servizi sanitari in farmacia, la polemica non si ferma

Quintino Lombardo

La questione sollevata da Report sui servizi in farmacia ha suscitato un ampio dibattito. L’Unione nazionale degli ambulatori, poliambulatori, enti e ospedalità privata (UAP) ha sottolineato che ci sono 420 requisiti richiesti alle strutture sanitarie private autorizzate e private convenzionate che dovrebbero essere estesi alle farmacie che fanno servizi. Ne parliamo con Quintino Lombardo, avvocato dello Studio Legale Lombardo-Cosmo, esperto di diritto delle farmacie e della filiera

11 luglio 2024

a cura della Redazione

Avvocato Lombardo, facciamo un po’ di chiarezza, dal punto di vista legale, sui servizi in farmacia?

Credo che le perplessità di cui riferiscono alcune organizzazioni di categoria, riprese da Report, appartengano più alla dialettica politica e sindacale che alla disciplina giuridica del settore. La possibilità di erogazione di servizi sanitari in farmacia non è nuova, così come che gli accordi convenzionali tra SSN e farmacie comprendano alcuni servizi sanitari: risale alla legge delega n. 69 del 2009, alla quale è stata data attuazione con il D. LGS. n. 153/2009, più volte integrato e modificato negli anni successivi. La disciplina dei servizi sanitari in farmacia è recata anche da decreti ministeriali e da leggi regionali di dettaglio nonché, più di recente, da numerosi provvedimenti amministrativi adottati dalle Regioni, anche con riguardo alle numerose sperimentazioni in corso. Inoltre, la giurisprudenza della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato più volte ha riconosciuto il ruolo di presidio polifunzionale sanitario di prossimità delle farmacie e il DM 77/2022 che riorganizza l’assistenza sanitaria territoriale richiama espressamente questa funzione delle farmacie, ben oltre la “tradizionale” attività di allestimento/dispensazione/consiglio sul farmaco… Davvero siamo di fronte a un quadro normativo complesso, per certi versi ancora in fase di completamento, ma certamente l’erogazione dei servizi sanitari in farmacia trova un ben solido fondamento legale e una disciplina specificamente congegnata.

La presidente di UAP ha sostenuto che con gli esami in farmacia nessuno si assume la responsabilità dell’errore diagnostico. Questo però non è corretto perché in farmacia non si possono fare diagnosi

Guardi, se permette una battuta: di tutti i farmacisti che in tanti anni di attività sono venuti in Studio, non ne abbiamo ancora conosciuto uno con la pretesa di arrogarsi il compito (e le responsabilità) del medico, al quale soltanto compete la diagnosi di una patologia.
Tutti sanno che le analisi del sangue in farmacia sono analisi di prima istanza su sangue capillare, sono svolte automaticamente per l’indagine di parametri specifici e servono al paziente per un primo accesso di prossimità o magari per taluni controlli ricorrenti, a seconda dei casi. Non per nulla si parla sempre di autoanalisi o, al limite, di analisi rapide, effettuate da strumenti automatizzati che, sotto il profilo della qualificazione giuridica, sono dispositivi medici realizzati a tal fine e regolarmente in commercio con marcatura CE, a garanzia della qualità del macchinario e della prestazione “promessa” dal suo fabbricante o da chi lo immette in commercio.
Il farmacista non redige (non può e non intende fornire) alcun “referto”, né a maggior ragione formulare una “diagnosi”. Egli si limita – e non è poco, certo – a garantire il corretto utilizzo della macchina da parte del paziente, eventualmente assistito dall’operatore, la salubrità dell’ambiente dove essa è inserita e il rispetto delle norme d’igiene, la conformità della predisposizione e dell’uso della macchina rispetto ciò che prescrive il suo manuale. E se l’output, cioè il risultato, che la macchina riferisce suscita dubbi, allora il paziente deve essere indirizzato dal medico, al quale per l’appunto spetta di prescrivere ogni più approfondita analisi che riterrà opportuna. Se poi il discorso è riferito alle attività in telemedicina, allora il rapporto con il medico che provvede al referto è ancora più stretto, sebbene a distanza.

A Report si è sostenuto che si potrebbero prevedere biologi in farmacia ma, a parte la sostenibilità economica di questa operazione, perché quelle che prima erano autoanalisi adesso dovrebbero richiedere la presenza di un biologo?

Credo che i farmacisti siano tra i professionisti sanitari più aperti alla collaborazione interprofessionale e questo in effetti è ciò che prevede anche la disciplina della farmacia dei servizi nel significato migliore del termine: un team di professionisti sanitari che collaborano tra loro nell’interesse del paziente. Però non c’è dubbio, a mio avviso, che l’ipotizzata presenza obbligatoria di un biologo non troverebbe un perché se parliamo degli attuali servizi di analisi automatizzata su sangue capillare. Di sicuro non di natura giuridica e neppure, credo, di natura scientifica: in che modo tale pur autorevole presenza potrebbe incrementare la sicurezza del paziente o l’affidabilità dell’esame effettuato dalla macchina?

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