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La cosmesi fa bene al Paese

LA COSMETICA

La cosmesi fa bene al Paese

Un comparto in crescita sia nel mercato interno sia nelle esportazioni e che deve affrontare sfide importanti, prima tra tutte la transizione green: se ne è discusso all’Assemblea pubblica di Cosmetica Italia

27 giugno 2024

di Laura Benfenati

«La cosmesi è un’industria che fa bene al Paese», ha detto il presidente di Cosmetica Italia Benedetto Lavino lunedì a Milano all’assemblea pubblica dell’Associazione nazionale imprese cosmetiche. «Industria cosmetica significa produzione, ricchezza, occupazione, Pil e innovazione. Resta immutata la natura anelastica dell’industria cosmetica nazionale nonostante una situazione di scenario particolarmente critica, che vede la prosecuzione del conflitto tra Russia e Ucraina, inserito nel contesto di una crisi energetica con forti condizionamenti sui costi e sugli approvvigionamenti delle materie prime, e le ripercussioni della crisi tra Israele e Palestina. Forti della crescita dei fatturati sui mercati internazionali e del segno più del mercato interno, continuiamo a essere l’esempio di un’industria sana e dinamica».
Lavino ha sottolineato che le sfide sono molte, prima tra tutte la transizione ecologica, vera rivoluzione per l’impatto sulle imprese e sulla supply chain. Alle aziende verranno imposti costi e regolamentazioni non trascurabili per raggiungere gli obiettivi: «Si deve riportare al centro la politica industriale, che non sia fatta soltanto di incentivi, ma di elaborazione di misure che stimolino la crescita. E poi politica estera, politiche di formazione, ricerca e innovazione».

I numeri

Gian Andrea Positano, responsabile del Centro Studi di Cosmetica Italia, ha raccontato una crescita del 10 per cento del fatturato dell’industria cosmetica, che da 15,1 miliardi del 2023 è previsto a 16,6 miliardi a fine 2024: «Le esportazioni hanno raggiunto i 7,9 miliardi (+12 per cento tra 2023 e 2024), in soli 20 anni hanno quadruplicato il loro valore e raddoppiato il peso del fatturato totale (da 23 a 46 per cento). Il primo mercato di sbocco sono gli Stati Uniti».
I consumi sul mercato italiano superano nel 2023 quota 12,5 miliardi, con un trend positivo del 19,4 per cento sul 2022: la Grande distribuzione resta il canale con la quota più consistente dei consumi interni (circa 42 per cento) con un valore che supera i 5,2 miliardi di euro, mentre la profumeria rafforza la seconda posizione (20,2 per cento) per un valore dei consumi di oltre 2,5 miliardi di euro. Al terzo posto troviamo la farmacia (16,7 per cento) con un valore di quasi 2,1 miliardi di euro. L’e-commerce ha più che raddoppiato il proprio valore dal 2019, arrivando a coprire nel 2023 l’8,9 per cento dei consumi cosmetici degli italiani per un valore di 1,1 miliardi di euro.
Positano ha raccontato che il digital è entrato a vari livelli nelle aziende: «Si consolidano fenomeni trasversali al comparto cosmetico come la digitalizzazione, sia negli investimenti in termini di comunicazione sia a livello produttivo. Le imprese si muovono anche nell’ottica dell’evoluzione Industria 5.0, che ottimizza, come la più recente Intelligenza artificiale, processi d’azienda legati alla logistica, al Crm e all’offerta sempre più evoluta di prodotti cosmetici».

La parola alla politica

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, in apertura di assemblea, ha ribadito che il comparto ha dimostrato crescita e consolidamento con impatto su Pil, occupazione e innovazione, e ha continuato a crescere con i suoi 155.000 addetti nonostante le difficili congiunture internazionali. Le aziende del settore investono molto e la transizione ecologica richiederà grandi sforzi finanziari.
Interessante il dibattito con i politici presenti, tra più Europa e meno Europa: è davvero così difficile fare impresa in Italia a causa delle politiche Ue? Elena Donazzan, neoletta parlamentare europea di Fratelli d’Italia, ha sottolineato con forza quanto importante sia tutelare la nazione Italia nei confronti dell’Europa, valutando con attenzione i tempi di impatto di alcune misure e le conseguenze di eccessive e talvolta illogiche regolamentazioni: «Dobbiamo tutelare la filiera corta e le nostre imprese, perché non si può permettere che risulti troppo difficile fare impresa oggi in Italia». Ha condiviso questa posizione l’assessore allo Sviluppo economico della Regione Lombardia Guido Guidesi, che ha sottolineato quanto troppo spesso si sia rischiato di cancellare la nostra competitività, poiché l’Italia produce prodotti talmente innovativi che anticipano il mercato: «Noi vinciamo non con l’abbassamento dei costi ma inventando, alcune celte ideologiche in Europa si sono dimostrate finora lontane da chi produce, si possono raggiungere obiettivi ambientali tutelando il settore manifatturiero». Simona Malpezzi, componente della Commissione UE del Senato, ha ribadito l’importanza del tema delle competenze e quello della formazione e Luigi Marattin, componente della Commissione Bilancio della Camera, ha sottolineato ironicamente che il tasso di crescita medio del Pil italiano dal 1995 è il più basso del mondo, tolte qualche isola e l’Ucraina, e certo tutta la colpa non è dell’Europa… Il senatore Renato Ancorotti ha concluso ribadendo che ci vuole trasversalità per raggiungere gli obiettivi e si devono perseguire obiettivi comuni lasciando da parte i temi ideologici. Uno di questi è sicuramente la sfida ecologica.

La transizione green

Lara Pomi di Confindustria, in cui ha delega alla transizione ambientale e agli obiettivi Esg, ha sottolineato: «Serve una visione strategica industriale che metta al centro la sostenibilità, un modello economico che tenga conto dell’ambiente e delle persone. La Cina ha investito 500 miliardi e gli Stati Uniti 380 nella transizione green e nessun bilancio di uno Stato europeo ha la forza per opporsi a questi Paesi. Le disparità di costi energetici ci fanno perdere competività. L’Europa ha costruito un piano di transizione ecologica ma è difficile metterlo a terra, è necessario un vero piano industriale europeo di investimenti pubblici che traini poi investimenti privati. Serve innovazione digitale in termini di efficientamento e ottimizzazione, chiediamo regole chiare e semplici, che tengano presente le peculiarità dei territori: non agire ha dei costi, quelli legati al cambiamento climatico sono stati 650 miliardi dal 1980 a oggi ma 150 miliardi soltanto negli ultimi cinque anni».

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