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Le farmacie in catena pagano le tasse come le farmacie indipendenti?

UNA DOMANDA A…

Le farmacie in catena pagano le tasse come le farmacie indipendenti?

Semplificando, e al netto di una serie di casistiche particolari, si può dire che le catene di capitale sono assoggettate alle medesime imposte di una srl di proprietà di uno o più farmacisti. Ce lo spiega Francesco Capri, commercialista e revisore legale dello Studio Guandalini di Bologna

30 maggio 2024

di Francesco Capri,
commercialista e revisore legale,
Studio Guandalini (BO)

Ho letto di recente che le catene di proprietà avrebbero in fondo gli stessi interessi delle farmacie indipendenti. E mi è sorto un dubbio che solo un commercialista mi può chiarire: queste farmacie in catena pagano le tasse in Italia oppure no? Sappiamo che i farmacisti indipendenti sono tra i maggiori contribuenti: se le farmacie vengono acquistate da un gruppo straniero c’è un danno economico per lo Stato?

Il quesito è piuttosto articolato, e richiede una disamina di diverse casistiche, che cercherò di esemplificare.

La società di capitali sconta un’imposizione pari al 24 per cento a titolo di Ires, nonché l’Irap, la cui aliquota può variare a seconda della Regione, ma che di base è pari al 3,9 per cento. Di conseguenza, a un primo livello, ovvero quello societario, non è possibile configurare un drenaggio di risorse al di fuori del territorio italiano.

Il farmacista italiano socio di srl è assoggettato a una ritenuta del 26 per cento a titolo di imposta sui dividendi distribuiti (ovvero, non è tenuto a indicarli nella dichiarazione dei redditi), quindi la tassazione personale è rinviata fino al momento del percepimento.

La stessa disciplina si applica anche ai soggetti esteri che percepiscono dividendi, con la sola eccezione di un’aliquota più bassa (1,2 per cento) in caso di società dell’Unione Europea o di un Paese white list aderente allo spazio economico europeo, che comunque versa un’imposta analoga all’Ires (fermo restando che l’Agenzia delle Entrate può contestare il comportamento volto a ottenere un risparmio fiscale artificioso, ma la necessità di dimostrarlo grava sull’Agenzia).
Ne consegue che l’eventuale collocazione della società che percepisce il dividendo in un Paese a fiscalità privilegiata è soggetta alla medesima tassazione della persona fisica italiana (26 per cento). Se poi la struttura societaria è più complessa, ogni passaggio di dividendi tra società è soggetto a un’ulteriore imposizione, pari al 26 per cento sulla quota di dividendo imponibile (5 per cento), che corrisponde, in estrema sintesi, all’1,3 per cento.

Ma a questa forma gestoria può accedere anche il comune farmacista italiano, nel momento in cui costituisce una holding che ha, quali controllate, delle società che esercitano l’attività di farmacia. Anche l’ulteriore agevolazione in tema di cessione di partecipazioni (sinteticamente definita PEX, ovvero Participation EXemption) che, a determinate condizioni consente una riduzione dell’aggravio fiscale, è un istituto cui può accedere anche il farmacista che ricorre, come già esemplificato, a una struttura che prevede una holding.
Tra l’altro, viene in parte meno la convenienza che poteva distinguere il comportamento del farmacista proprietario di srl (che tendenzialmente distribuisce dividendi) rispetto alla struttura di una catena (che poteva non avere tale necessità), in quanto l’ACE, ovvero l’agevolazione volta a premiare la capitalizzazione dell’impresa, è venuta meno da quest’anno (che rispetto comunque agli incrementi di utili non prelevati riconosceva una deduzione dall’Ires molto modesta, pari, nell’ultimo anno di applicazione, all’1,3 per cento).

In conclusione, quindi, le catene sono assoggettate alle medesime imposte che gravano su una srl di proprietà di uno o più farmacisti, comprese le stesse agevolazioni in tema di tassazione dei dividendi all’interno di un gruppo e alla PEX.
Ovviamente, questa analisi è valida nei limiti in cui si faccia riferimento a comportamenti fiscalmente corretti: chiunque (sia esso un gruppo internazionale o italiano) può cercare di spostare materia imponibile in Paesi a fiscalità privilegiata, attraverso transazioni tra società del medesimo gruppo (intercompany) non congrue, ma questo approccio è censurabile, oltreché sotto il profilo etico, dall’Agenzia delle Entrate, che ne può sindacare la liceità con i poteri accertativi a sua disposizione.

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