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Il raglio dell’asino

IL LIBRO

Il raglio dell’asino

«Colpevole fino a prova contraria»: Marta Gentili racconta in un libro quattro anni duri di malagiustizia, di soldi spesi, di rabbia. «Bisogna che qualcosa cambi. Questa storia l'ho voluta scrivere perché non succeda a nessun altro quel che è successo a me»

9 febbraio 2023

a cura della Redazione

Quattro anni, sei mesi e otto giorni: tanto è durato l’incubo di Marta Gentili, biologa, divulgatrice scientifica, esperta in terapia del dolore, coinvolta nel 2017 nell’inchiesta denominata “Pasimafi”. Poi, dopo tutti quei giorni – e tutte quelle notti ad ascoltare le intercettazioni che avrebbero dovuto accusarla – dopo 158.142,82 euro spesi per difendersi, è risultata innocente perché “i fatti contestati non sussistono”.
Uno dei tanti casi di malagiustizia, dietro ai quali ci sono persone e vite stravolte, raccontato nel suo libro Il raglio dell’asino, presentato questa settimana a Milano.

«Mai avrei pensato»

Tutto inizia l’8 maggio del 2017. Marta aveva un appuntamento ma il suo interlocutore non si presentò, lei tornò a casa e riprese a lavorare a un progetto sul dolore nelle carceri di cui si stava occupando in quel periodo. Poco dopo apprese dai telegiornali che una grande inchiesta aveva coinvolto 100 persone, poi diventate 75, e che c’erano stati 19 arresti. «Erano tutte persone che avevo visto e sentito fino al giorno prima, con le quali lavoravo da tempo», ha spiegato Gentili. «Avevano arrestato il padre della legge 38 sulla cura del dolore, sui giornali si leggeva che sarebbero state pubblicate le liste degli indagati, mai avrei pensato che in quel famoso elenco potesse esserci il mio nome». L’ha saputo nove mesi dopo, quando i Carabinieri hanno suonato alla sua porta per comunicarle che era accusata di corruzione.
«Ho voluto scrivere questo libro innanzitutto per far conoscere la mia vicenda, un’esperienza devastante da cui si può sopravvivere ma che cambia molto: ci si deve reinventare, il mondo che c’era prima non c’è più, passi automaticamente dalla parte del torto, l’opinione pubblica ti condanna subito, sei colpevole fino a prova contraria. Non so se questo sistema giudiziario sia giusto o sbagliato, di sicuro non è sempre corretto il modo in cui viene applicata la giustizia».
Gentili ha raccontato che non c’era un atto di accusa che riguardasse uno scambio di denaro, che i media hanno avuto modo di accedere a informazioni riservate prima delle persone coinvolte nell’inchiesta, che le intercettazioni telefoniche si sono rivelate uno strumento diabolico in cui la parola bias può diventare buyer, peer review diventa payer, Macrogol viene frainteso con gold: spesso chi le trascrive non ha infatti competenze specifiche degli argomenti oggetto dell’indagine. Gentili ci ha tenuto particolarmente a ringraziare la sua famiglia e i suoi avvocati, grazie ai quali è riuscita a vivere quegli anni difficili in modo sereno. Anni in cui le intercettazioni hanno messo in piazza anche la sua vita privata: se le è procurate a pagamento e ne ha ascoltate 19.000, per cercare di capire perché la sua vita era stata completamente stravolta.

L’arbitro del bene e del male

Come si legge nella prefazione di Salvo Vitale, “questo non è un giudizio critico su tutta la magistratura italiana e il suo operato, ma su un sistema che ha nel giudice ‘l’arbitro in terra del bene e del male’ (F. De André) con enormi poteri, primo tra tutti quello di porre sotto sequestro i patrimoni privati, anche sulla base di sospetti, senza bisogno di procedimenti penali. Questa arbitrarietà lo pone in taluni casi al di sopra della legge stessa, che egli rappresenta, grazie alla sua non punibilità nell’esercizio del suo lavoro.
«La rabbia è stata tanta», ha concluso Marta Gentili. «Bisogna che qualcosa cambi, non tutti possono sostenere emotivamente ed economicamente una situazione come quella che è capitata a me. Questa storia l’ho voluta raccontare perché non succeda a nessun altro ma so anche che, sino a quando non ci sarà un cambiamento epocale nel nostro sistema giudiziario, questo non potrà mai accadere».

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