Il mio compito è tracciare un nuovo percorso
L'INTERVISTA
Il mio compito è tracciare un nuovo percorso
La farmacia è forte come non mai grazie all’abnegazione dei farmacisti durante l’emergenza e alla visione della sua classe dirigente. «Le prospettive di crescita del settore sono sotto gli occhi di tutti, dopo anni difficili», afferma il presidente di Federfarma Marco Cossolo
3 marzo 2022
di Laura Benfenati
Un’intervista, quella con il presidente di Federfarma, come al solito un po’ movimentata perché alcune domande non gli sono proprio piaciute. La prima, per esempio: lui crede fortemente che ci si debba iscrivere alla facoltà di Farmacia e che sia il momento di comprare, non certo di vendere. Le prospettive di crescita del settore sono sotto gli occhi di tutti grazie all’ottima prova data dalla categoria durante l’emergenza pandemica.
«Quando sono arrivato a Carignano – ci ha raccontato – avevo sei anni e a fianco della farmacia c’era il maniscalco, che dopo qualche anno ha chiuso perché i cavalli erano spariti. Ciò è accaduto non perché il sindacato dei maniscalchi fosse inefficiente, ma semplicemente perché la gente preferiva andare in auto anziché a cavallo. Se il maniscalco avesse trasformato la sua bottega in un’officina per riparare le macchine forse avrebbe potuto continuare a lavorare. La farmacia che dispensa solo il farmaco, che fa soltanto quello, non risponde più alle esigenze dei cittadini, è un ruolo necessario ma non sufficiente: oggi deve essere uno snodo del Servizio sanitario nazionale, una farmacia di relazione in cui al centro c’è la persona, non il prodotto». Proviamo a obiettare che al momento non sono proprio tutte rose e fiori.
Reti sempre più numerose e aggressive, il digitale che erode quote di mercato, il quotidiano sommerso dalla burocrazia e da “incidenti” informatici che rallentano il lavoro e innervosiscono farmacisti e clienti-pazienti, collaboratori che non si trovano: perché un diciottenne dovrebbe aver voglia di fare il titolare di farmacia?
Vaccini e tamponi hanno dimostrato che la farmacia dei servizi è una realtà ed è anche redditizia: abbiamo oggi un forte riconoscimento sociale, con ottime prospettive di sviluppo, con consolidamento del ruolo, siamo presenti con le sussidiate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e anche nel cosiddetto Dm 71. Cosa ha dichiarato di recente il ministro Speranza? Che la farmacia è centrale rispetto all’assistenza territoriale. Un diciottenne fa benissimo a iscriversi a Farmacia perché oggi le farmacie hanno un ruolo ben definito e continueranno ad averlo sempre di più in futuro.
«Vendere non è un’opzione – ci hai detto lo scorso anno – piuttosto comprare», eppure molti colleghi gettano la spugna: qual è oggi la strategia di Federfarma per difendere il sistema farmacia?
Noi abbiamo un progetto chiaro, l’ho ripetuto molte volte, firmeremo una nuova convenzione e avremo una nuova remunerazione che sarà strutturale. Abbiamo già ottenuto quella aggiuntiva, e quella strutturale dovrebbe portare una remunerazione ben superiore. Il percorso è tracciato. I farmacisti sono presenti nel Dm 71. Che cosa vogliamo di più? Chi vende fa valutazioni personali che io non comprendo. I figli possono continuare a gestire le attività di famiglia, indipendentemente dalla professione che scelgono. Spero che la mia si laurei in Farmacia, perché solo questa laurea, che ovviamente va integrata con altri tipi di competenze, permette di amministrare consapevolmente, direttamente o indirettamente, una farmacia. Io comunque non vendo neanche se lei deciderà di dedicarsi ad altro.
Che farmacia troveremo dopo la fine dell’emergenza?
L’obiettivo di Federfarma è duplice, riguarda il presente e il futuro. Remunerazione, Dm 71, atto di indirizzo della convenzione rappresentano il lavoro sul presente, ma poi si deve progettare il futuro. Dal 2017 è stata fatta molta strada: abbiamo preso 36 milioni sulla farmacia dei servizi facendo i vaccini, altri 50 poi su disposizione del ministero della Salute. Abbiamo portato l’innalzamento dei tetti, abbiamo eliminato gli sconti per le farmacie molto piccole, abbiamo ottenuto 200 milioni su due anni con la nuova remunerazione, abbiamo avuto 100 milioni con il Pnrr sulle rurali sussidiate, abbiamo avviato tamponi e vaccinazioni. Tutto questo è stato ottenuto perché abbiamo dimostrato di svolgere un ruolo fondamentale nella gestione della sanità territoriale. Non credo che questi siano presupposti che possano indurre alla vendita.
Le farmacie dovranno convivere con nuovi soggetti sul territorio, come le case di comunità: in che modo?
Le case di comunità sono una ogni 50.000 persone, il paziente cronico deve essere telemonitorato e teleassistito e sono state finanziate strutturalmente per questo, con 100 milioni, le farmacie rurali sussidiate. Che la farmacia sia fondamentale è evidente: il buco nell’assistenza territoriale che oggi c’è può essere riempito soltanto dalle unità di assistenza primaria, cioè da una rete costituita dalle farmacie e dagli altri professionisti sanitari.
Ci sono Regioni in cui le farmacie dichiarano di essere in sofferenza economica, per esempio l’Emilia Romagna in cui diretta e Dpc minano la sostenibilità del settore.
In Emilia lo scorso anno c’è stato un + 26 per cento di Dpc, -22 per cento di diretta e + 5 per cento della convenzionata, di cosa stiamo parlando?
Chi conosce bene i conti della farmacia sostiene che non è la Dpc che dà ossigeno ma la convenzionata, spedire una ricetta in Distribuzione per conto comporta più tempo dei collaboratori, a 48 centesimi al minuto…
La redditività della farmacia non la dà la convenzionata. Oggi abbiamo 990.000 farmaci venduti in convenzionata e il margine è di 2 miliardi e 140 milioni (era 2 miliardi 540 quando dovevamo cambiare la remunerazione nel 2012, ricordiamocelo), più la remunerazione aggiuntiva. Sono 2,14 euro a pezzo: la Dpc in Emilia Romagna è 3,92 a pezzo, quindi è più conveniente della convenzionata. Non credo, inoltre, che ci si metta il 50 per cento di tempo in più a spedire una ricetta in Dpc, il margine invece è quasi del 50 per cento in più. L’Ebitda della farmacia non si fa però né sulla convenzionata né sulla Dpc ma sulle attività dove la professionalità del farmacista dà valore aggiunto.
Sarebbe opportuna almeno un’omologazione delle liste Dpc a livello nazionale, se ne parla da molto tempo.
Su questo stiamo lavorando anche nel nuovo atto di indirizzo della convenzione, certo non si può cambiare la Costituzione. L’obiettivo è andare verso una maggiore omogeneizzazione. Iniziative come la nota 100, la nota 99 vanno in questa direzione.
I processi però sono lunghi: se mi avessi chiesto nel 2003 quali fossero stati gli effetti della 405/2001, ti avrei risposto nessuno. Se mi avessi fatto la stessa domanda nel 2016 ti avrei risposto che è stata una legge dirompente. Questa è la dimostrazione che i cambiamenti normativi non hanno mai un impatto immediato, bisogna saper prevedere quelli a medio e lungo termine.
C’è collaborazione con i medici di medicina generale nel disegno della nuova sanità territoriale?
Certamente, io chiedo sempre che un’attività si possa fare anche in farmacia, non soltanto in farmacia. Tamponi, vaccini, l’80 per cento del mercato dei prodotti Covid li gestiamo senza avere l’esclusiva.
Ci sono però mercati che siete destinati a perdere, basti pensare all’on line.
Noi dobbiamo istruire le persone sull’uso di prodotti coerenti con la salute. Due riflessioni: quando l’uso di questi prodotti diventa corrente, il mercato lo perdiamo se non abbiamo una specificità di valore aggiunto di consulenza o di garanzia, come nel caso delle mascherine. Attenzione poi a non farci usare: se il prodotto è coerente con il nostro ruolo ha un senso, altrimenti no. Non banalizziamo quello che si vende in farmacia.
Sei d’accordo sul fatto che non esiste ancora un modello di rete vincente? Anche il progetto di Sistema farmacia Italia si è arenato, come mai?
Non è stato creato da alcuna rete, finora, né un vero format né la declinazione dello stesso. E anche Sistema farmacia Italia non è riuscito ancora a espletare il percorso che immaginavamo. Ho voluto traslare a livello nazionale un modello che avevo visto funzionare molto bene nella mia Regione, si è invece dimostrato non replicabile. Vale però la pena di mantenerlo perché l’evoluzione del mercato è tale che uno strumento di questo tipo può diventare fondamentale da un momento all’altro.
Come si pone Federfarma rispetto al fenomeno delle reti?
Federfarma sta lavorando alla predisposizione di strumenti volti a favorire l’aggregazione delle farmacie indipendenti. È l’unico modo per contrastare le acquisizioni da parte del capitale e creare contrappesi normativi alla 124/2017 e sistemi antioligopolistici. Grazie a scelte strategiche come vaccini e tamponi, talora inizialmente contestate, la redditività della farmacia è oggi salvaguardata e, lasciatemi dire, implementata. Tanto che prosegue la corsa all’acquisto da parte di grandi gruppi.
I farmacisti devono avere fiducia nel loro lavoro. Il compito di Federfarma non è rassicurare, ma tracciare un percorso che porti alla realizzazione del nuovo modello di farmacia di relazione, efficacemente inserito all’interno del Servizio sanitario nazionale. E questo stiamo facendo.
Quante, tra le grandi reti di farmacie, aderiscono oggi a Federfarma? Molti ipotizzano che a breve costituiranno un loro sindacato, è plausibile?
Noi con le reti abbiamo incrementato del 4 per cento le iscrizioni, aderiscono tutte a Federfarma tranne Dottor Max. Finché rappresentiamo con equilibrio l’universo delle farmacie italiane (oggi il 97 per cento), non credo abbia senso creare un’altra unità sindacale che indebolirebbe tutti. Finora questa esigenza non mi sembra ci sia mai stata.
Quali novità proponete in ambito digitale?
Stiamo creando, tramite Promofarma, una piattaforma che metteremo a disposizione di tutte le farmacie per permettere un agevole monitoraggio dell’aderenza alla terapia e l’implementazione all’accesso dei nuovi servizi.
A livello di formazione della dirigenza sindacale cosa state facendo?
Oggi cerchiamo di formare la classe dirigente sindacale che verrà dopo di noi, non ci si improvvisa. A Federfarma mancava una classe dirigente. Del tutto casualmente nel 2017 si sono ritrovate nel sindacato tre persone che avevano già fatto esperienze politiche e partitiche in ambito personale: Osvaldo Moltedo, Roberto Tobia e io. Il cambiamento di opinione sulle farmacie e il loro posizionamento è dovuto senz’altro all’incondizionata e meritevolissima abnegazione dei farmacisti, che in questo periodo hanno saputo evolversi e offrire prontamente nuovi servizi per rispondere alle mutate esigenze di salute della popolazione. Inoltre, un ruolo decisivo l’ha avuta la capacità di interlocuzione con le Istituzioni, dovuta alla conoscenza delle dinamiche politiche e istituzionali, ma anche alla capacità di rappresentare il lavoro svolto in maniera comprensibile e facilmente intelligibile dal decisore politico, capacità che non è innata ma si acquisisce con lo studio e l’esperienza. Non si può sempre sperare nel caso, ma bisogna lavorare affinché i giovani che si vogliono impegnare nell’ambito della rappresentanza acquisiscano una formazione specifica. Sono convinto che il limite ai mandati, da me fortemente voluto nella modifica statutaria del 2010, sia un ottimo veicolo per arrivare a ciò.
Un’ultima domanda: quali sono le vostre priorità per l’anno in corso, quali i traguardi non più rimandabili?
Non è esatto parlare di traguardi non più rimandabili: ci sono, semplicemente, lavori da completare e processi da finalizzare. La professione del farmacista e la credibilità di Federfarma sono state affossate nell’arco di 15 anni, con utili che si sono ridotti del 35 per cento, come dimostrato da uno studio realizzato da Erika Mallarini per Sda Bocconi. Oggi sono cinque anni che la farmacia italiana non perde un euro ma anzi guadagna, tanto che i gruppi che nel 2017 acquisivano le farmacie all’1,2 del fatturato, ora le acquistano a 1,8. Non è un’opinione, lo dimostrano i fatti. Abbiamo consolidato ruolo e remunerazione, e in qualsiasi processo economico la remunerazione è data da un moltiplicatore composto dal ruolo svolto per il valore aggiunto prodotto. Da noi i colleghi si devono aspettare la canna da pesca, mai il pesce. Federfarma deve tracciare una strada, non dare una rassicurazione che porta soltanto ad adagiarsi. Proseguendo con la metafora, il pesce è la remunerazione aggiuntiva ma la canna da pesca sono i vaccini somministrati in farmacia. Abbiamo una nostra visione della farmacia del futuro e la stiamo portando avanti con i fatti. I colleghi che decidono di vendere oggi fanno, a mio parere, un grave errore.