Integrare innovazione e salute nel post pandemia
L’ATTUALITÀ
Integrare innovazione e salute nel post pandemia
Una tavola rotonda organizzata dall’Ambasciata svizzera in Italia ha messo a confronto rappresentanti delle istituzioni, del mondo accademico e delle life sciences, in vista di una serie di appuntamenti internazionali dedicati alle grandi sfide globali presenti e future
27 maggio 2021
di Claudio Buono
Al fine di promuovere una riflessione su come costruire società inclusive e sistemi di salute sostenibili e innovativi, l’Ambasciata svizzera in Italia ha promosso una tavola rotonda virtuale dal titolo “Scienza, salute, innovazione: una prospettiva di sostenibilità oltre la crisi” cui hanno preso parte rappresentanti delle istituzioni, del mondo accademico e delle life sciences. Introducendo il convegno Rita Adam, ambasciatrice svizzera in Italia, ha sottolineato che «ora che stiamo lentamente uscendo dalla pandemia, è fondamentale collaborare a tutti i livelli tra diversi Stati, tra pubblico e privato, tra imprese e istituzioni sanitarie».
Riconquistare la competitività
Alessandra Todde, viceministro dello Sviluppo economico, nel suo intervento ha premesso come il settore farmaceutico e la salute siano da sempre, per il nostro Paese, driver di sviluppo importanti, ma nell’ultimo decennio abbiamo iniziato a perdere competitività, perché una parte delle attività a monte della filiera, quella a maggiore valore aggiunto, è stata delocalizzata all’estero. «L’obiettivo che ci poniamo – ha affermato – è dunque quello di riportare sul nostro territorio la ricerca e lo sviluppo della filiera farmaceutica e medica». Dal punto di vista della ricerca, stiamo puntando, assieme ad altri Stati membri, allo sviluppo della vaccinologia, di nuove biomolecole versatili, di tecnologie mediche innovative anche per la diagnostica 3D e in vitro. Mentre per quanto riguarda la digitalizzazione in campo medico, due sono le applicazioni principali: l’utilizzo di modelli di acceleratori di calcolo che sfruttano l’intelligenza artificiale nella diagnosi, nella sperimentazione e nella commercializzazione dei farmaci e dei presidi medici; e la raccolta, l’analisi e lo scambio dei dati.
Coordinamento e integrazione tra enti e governi
Mario Monti, presidente Pan-European Commission on Health and Sustainable Development e presidente dell’Università Bocconi, ha evidenziato come, sul piano delle politiche della salute occorrano diversi livelli di integrazione. «In primo luogo c’è bisogno di un approccio olistico di One Health che veda l’integrazione della salute umana con quella animale e dell’ambiente; ovvero, di un coordinamento più stretto tra le varie organizzazioni che si occupano di sanità, come Fao, Unep e Oms. Ma nel lungo periodo potremmo pensare addirittura alla creazione di un’unica World One Health Organization, che raggruppi queste entità», ha auspicato Monti. «Un altro necessario livello di integrazione è quello del posizionamento molto più integrato delle politiche della salute nel sistema complessivo delle politiche governative, a livello nazionale e internazionale perché – ha aggiunto il presidente – le politiche sanitarie, se gestite solo con una visione settoriale, possono non ottenere l’attenzione che meritano e, a un certo momento, prendersi la rivincita sul piano economico e finanziario, come si è visto con la pandemia da Covid-19». Monti ha concluso ricordando che per tradurre in pratica la dichiarazione di princìpi per la prevenzione delle pandemie che verrà approvata al Global Health Summit, occorreranno enormi sforzi di implementazione, in primo luogo a carico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per raggiungere questo obiettivo, saranno fondamentali l’impegno politico e gli investimenti economici, oltre che mettere più direttamente a contatto il mondo della salute con quello della leadership politica e finanziaria. In questo senso potrebbe essere utile una struttura che affianchi ministri della salute e delle finanze, in una sorta di Global Health Board accanto all’Oms ma autonomo da esso.
Produzione resiliente, distribuzione più strutturata
Per Paola Testori Coggi, special advisor del Cluster tecnologico nazionale Scienze della vita Alisei, è importante un nuovo paradigma di cooperazione tra pubblico e privato. «Il fatto che nella Ue non vi sia la consuetudine a lavorare fianco a fianco con l’industria, quanto piuttosto a delimitarne con regole l’azione, ha portato, durante la crisi da Covid-19, a negoziare con i produttori di vaccini da compratori anziché da partner», ha rimarcato la relatrice. Che ritiene occorrano anche maggiori investimenti in ricerca e sviluppo: «Non gioca a favore il fatto che l’Ue non applichi nella produzione di farmaci una politica protezionista, e questo per via di un’attitudine al commercio aperto che non è soltanto una scelta politica o etica ma anche di necessità». In vista però di future emergenze sanitarie, la strategia farmaceutica europea insiste sulla necessità di disporre di una produzione più resiliente, oltre che di una catena di distribuzione più robusta. Da ultimo, c’è la necessità di più investimenti nella produzione farmaceutica: «Al momento non esiste una politica industriale europea sui farmaci e i Paesi continuano a muoversi in ordine sparso, privilegiando le politiche nazionali», fa sapere Testori Coggi, per la quale «anche l’Italia dovrebbe dare una risposta in tal senso, per non perdere il primato dell’export che contraddistingue la nostra industria farmaceutica».
Saper armonizzare e gestire i dati
Marco Simoni, presidente Human Technopole Milano, ha evidenziato che i nostri sistemi sanitari hanno enormi quantità di dati non opportunamente sfruttate. «La sfida cruciale dei prossimi anni sarà dunque quella di fare in modo che, così come grandi aziende private sono riuscite a far fruttare i dati raccolti, anche i nostri Paesi riescano a valorizzare per l’interesse pubblico la mole di dati che hanno già a disposizione». Un impegno notevole, che da un lato vede il trattamento giuridico di questi dati sotto il profilo della protezione della privacy (necessaria non solo per prevenire il rischio di abusi, ma anche per avere la certezza che questi dati vengano effettivamente utilizzati per interesse pubblico) e dall’altro richiede una grandissima capacità di innovazione, sia per quanto riguarda l’integrazione di banche dati strutturalmente diverse (dati socioeconomici e sanitari viaggiano su sistemi differenti) sia perché il tipo e la qualità di competenze necessarie all’utilizzo e alla comprensione di questi dati sono spesso ancora oggi presenti in misura minore rispetto a quanto necessario.
Più rispetto per le life sciences
Infine, per Pasquale Frega, presidente del Gruppo farmaceutiche europee e giapponesi di Farmindustria (Eunipharma), salute e ricerca non devono più essere considerate un costo ma un investimento fondamentale per il futuro del Paese. «Durante la pandemia siamo stati colti impreparati principalmente su tre fronti», ha rilevato. «Quello delle infrastrutture, non solo materiali ma anche immateriali; quello organizzativo, perché il livello di preparazione del Paese sicuramente non era adeguato; quello culturale, perché non c’è attitudine, in Italia, alla ricerca». Per il relatore, bisogna però riconoscere che una risposta straordinaria è arrivata dal fronte dell’innovazione e della ricerca scientifica, seppur il nostro sistema regolatorio abbia costituito un notevole freno in tal senso. Ma, a suo avviso, è soprattutto indispensabile avere una visione strategica circa il settore delle life sciences, se è vero che salute è uguale a crescita economica e stabilità del sistema sociale.