I farmacisti sono come le moéche
LA LETTERA
I farmacisti sono come le moéche
«Hanno perso la loro corazza e, teneri teneri, aspettano di essere mangiati. Manca la cabina di regia unica di cui si parlava all'ultimo convegno di iFarma. Non resta che un’unica decisione da prendere»
20 maggio 2021
di Aldo Cacco,
farmacista a Mogliano Veneto (Tv)
Tanti di voi non sapranno nemmeno cosa siano le moléche, o più nobilmente, alla veneziana, “moéche”.
Nella mia Chioggia, sospesa nella laguna, una parte di questa era, ed è, dedicata al loro allevamento. Sono granchi che perdono il carapace, diventando quindi tenerissimi e pronti per essere fritti, un cibo prelibato e prezioso.
I farmacisti di oggi sono come le moleche. Hanno perso la loro corazza e, teneri teneri, aspettano di essere mangiati.
La conferma si è avuta partecipando a The Network’s Road, l’incontro organizzato da iFarma dedicato alle catene di farmacie, argomento che conosco bene perché ho avuto la fortuna di partecipare alla nascita di Farmacie Specializzate, che continua ad accelerare nel numero di aderenti, di iniziative e progetti, ma a rallentare nella qualità della partecipazione incondizionata, nonostante gli sforzi della Casa Madre, Unifarco.
Perché una visione così critica? Perché le opere di questa catena rispecchiano il cliché classico del farmacista: «A casa mia comando io».
Quasi tutti i farmacisti hanno pensato bene di riflettere sulle idee espresse dal giornalista di affari del New Yorker, James Surowiecki, in un saggio intitolato “La saggezza della folla”. In questo libro l’autore esplora un’idea apparentemente semplice: grandi gruppi di persone sono più intelligenti di poche élite, non importa quanto brillanti: sono più bravi a risolvere problemi, a promuovere l’innovazione, a prendere decisioni sagge, persino a predire il futuro.
Bisogna ora capire: in generale noi farmacisti siamo un grande gruppo pensante o un piccolo branco governato da élite ristrette?
In una catena forse è meglio, come diceva Marcello Tarabusi nell’incontro menzionato, avere una sola cabina di regia? Una sola testa pensante e un’organizzazione dove vengono rispettate le gerarchie e viene sviluppata in modo totale una cultura dell’impresa della rete? Proprio il contrario dell’individualismo di tanti colleghi.
Caro dottor Tarabusi, sapesse quante volte ho insistito per rendere le mie Farmacie Specializzate un piccolo esercito condotto da un solo comandante. Un grande gruppo ricco di idee e fatto funzionare con la guida di un grande condottiero, in questo caso due.
Durante l’incontro, condotto in maniera impeccabile dalla nostra Laura, le sole note stonate sono state nell’intervento del presidente di Federfarma, la più grande delle catene di farmacie, dapprima per la sua incomprensibile reazione a una lecita domanda del collega Annetta. Poi per il rifiuto di parlare del fallimento di Sistema Farmacia, argomento che sarebbe stato corretto sviluppare proprio in quella sede.
Ascoltandolo mi è venuta la voglia di tornare in Farmacie Unite. Soprattutto però, alla fine di tutto, mi sono chiesto: sarebbe meglio vendere le mie farmacie a una società di capitale? La mia risposta è stata: vendere!
Magari sperando di rivestire un piccolo ruolo all’interno di una di queste società per continuare a occuparmi, ancora per un po’, di quella che è stata la passione della mia vita, fare il farmacista, e partecipare, come friggitore, al banchetto con le moléche fritte.